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Diritto e Rovescio – IV

Il 26 gennaio del 1994, ci fu una ventata fresca all’interno del panorama politico italiano: nacque un partito composto dalla classe imprenditoriale, difensore della libertà. A capo di questo c’era un uomo giovane e ambizioso: Silvio Berlusconi.

Dopo due mesi dall’inizio della sua comparsa, vinse le elezioni; tuttavia, più gli anni passavano, più perdeva consensi. Così, nel momento in cui il gioco non gli stava più andando bene, decise di cambiare le sue regole: ecco che, alla fine del 2005, venne vagliata la legge Calderoli, conosciuta volgarmente come il Porcellum.

Questa nuova legge elettorale proponeva un sistema elettorale proporzionale, con un premio di maggioranza: tanti voti tanti seggi, ma a chi vinceva, ne venivano regalati alcuni. Inoltre, prevedeva delle soglie di sbarramento: per entrare in Parlamento, bisognava ottenere almeno il 4% di voti, mentre per entrare in Senato almeno l’8%.

Completamente distorsivo per la volontà popolare, segnò la fine della politica rappresentativa: da questo momento in poi, non si parlerà più di partiti, ma di singoli parlamentari.

Nel 2014 venne annullato dalla Corte Costituzionale, perché giudicato incostituzionale in alcune parti.


Ad oggi, coesistono due leggi elettorali: per la Camera dei deputati, si dovrebbe votare con un sistema proporzione, con sbarramento al 3% e con premio di maggioranza alla lista che raccoglierà almeno il 40% dei voti validamente espressi; invece, per il Senato si dovrebbe votare con ciò che rimane della legge elettorale del 2005, dopo la censura della Corte costituzionale: con un sistema proporzionale, senza premio di maggioranza e con sbarramento all’8% per le liste di singoli partiti e al 20% per le liste che riuniscono in coalizione più partiti.


Tuttavia, prima dello scoppio della pandemia COVID-19, il Presidente della Repubblica aveva auspicato che il Parlamento approvasse in tempi rapidi una nuova legge, che regolasse in modo uniforme l’elezione dei membri delle Camere.

Il progetto aveva preso piede: il 9 gennaio 2020, il deputato del Movimento 5 Stelle Giuseppe Brescia ha presentato la proposta di legge. Quest’ultima, battezzata “Germanicum” per via della somiglianza con la legge tedesca, è un sistema proporzionale puro: ogni lista eleggerà un numero di deputati e senatori all’incirca proporzionale al numero di voti raccolti.

La peculiarità di questa proposta è la soglia di sbarramento fissata al 5%, che penalizza i partiti più deboli, due dei quali sono presenti nella maggioranza di governo: LeU e Italia Viva. A questa regola la legge prevede un’eccezione: il cosiddetto diritto di tribuna.

Significa che le forze politiche che dovessero ottenere buoni risultati, in almeno due regioni per la Camera e in una per il Senato, potranno eleggere alcuni deputati, anche se non dovessero raggiungere il 5% dei voti. Inoltre, la proposta prevede anche i “listini bloccati”: non saranno gli elettori a scegliere i singoli candidati, indicando una preferenza, ma l’ordine di elezione sarà stabilito dai partiti.


Io sono una giovane ragazza, profondamente innamorata del suo Paese e con larghe vedute: proprio per questo, credo che ci sia necessità di cambiare qualcosa.

Mi auguro che il Germanicum possa essere una via ottimale per fare un passo avanti rispetto alla situazione stagnante in cui ci ritroviamo, ma ne dubito: il sistema proporzionale porta con sé l’esigenza di una coalizione. Credo che l’Italia e la sua cronaca possano testimoniare che, qui, le alleanze tra partiti non funzionano: nel raggio di due anni, un Governo è stato sfiduciato e l’altro indicato come “illegittimo”. Trovo triste la visione italiana...

Governo è un termine che deriva dal latino gubernum, che indicava il timone con cui si dirige una nave: oggi, ha assunto il significato di «organo che dirige lo Stato». Ministro, invece, deriva dal latino ministro, che significava originariamente «servitore»: il Ministro, pertanto, è colui che serve il suo Paese.

È a dir poco raccapricciante che, oggigiorno, il Governo sia diventato l’oggetto di critica principale: i Ministri gestiscono la nostra vita e noi, invece che interessarci ed essere parte attiva, ci limitiamo a stare seduti e guardare come tutto ci crolla attorno.

Per fare un salto culturale, sono convinta che serva capire cosa sia il Governo e quali siano i suoi compiti.


Il Governo è un organo talmente importante che non credo esista partito politico che non vorrebbe governare.

Si dice che sia un organo costituzionale, complesso e di parte: costituzionale perché fa parte integrante dell’organizzazione costituzionale dello Stato; complesso perché formato da più organi; di parte perché é espressione della maggioranza in Parlamento.

Esso, come stabilisce l’articolo 92 della Costituzione, è composto dai ministri, dal Consiglio dei ministri e dal Presidente del Consiglio dei ministri: ogni elemento ha funzioni diverse.


Il Consiglio dei ministri è un organo collegiale formato da tutti i ministri ed è presieduto da, Presidente del Consiglio: la sua funzione principale è determinare la politica generale del Governo.

Inoltre, a questo organo sono assegnate altre importanti competenze, tra cui i disegni di legge, l’adozione dei decreti, l’approvazione delle scelte riguardanti le politiche estere e comunitarie e la deliberazione sulle nomine ai più alti gradi della gerarchia amministrativa o ai vertici degli enti pubblici economici.

Il Presidente del Consiglio dei ministri è la vera guida. Secondo quanto disposto dall’articolo 95 della Costituzione, egli dirige la politica generale del Governo e ne assume la responsabilità, mantiene l’unità di indirizzo polito e amministrativo e promuove e coordina l’attività dei ministri. Inoltre, gli spetta decidere se e quando convocare il Consiglio dei ministri, quali questioni porre all’ordine del giorno e quali conclusioni trarre dalla discussione.

I ministri, infine, svolgono una duplice funzione: politica, perché come membri del Consiglio dei ministri partecipano alle scelte globali del Governo; amministrativa, in quanto ciascuno è posto a capo di un particolare settore della Pubblica amministrazione.


Un Governo nasce o quando inizia una nuova legislatura o quando il Governo in carica si dimette e bisogna eleggerne uno nuovo.

Il suo processo di formazione è delineato negli articoli 92, 93 e 94 della Costituzione, così riassumibili:

  1. elezioni del popolo;

  2. il Presidente della Repubblica sceglie il futuro Presidente del Consiglio;

  3. se questi accetta l’incarico, viene nominato ufficialmente e dietro sua proposta vengono nominati anche i ministri;

  4. prima di poter esercitare le sue funzioni, il Governo deve presentarsi alle Camere per illustrare il proprio programma politico e chiedere su questo il voto di fiducia (cioè il permesso di attuarlo);

  5. se la maggioranza di ciascuna Camera accorda la fiducia, il Governo può iniziare la sua attività; se la fiducia non viene accordata, il Governo deve immediatamente dimettersi e il Presidente della Repubblica deve procedere a una nuova nomina.

Una precisazione: i membri del Governo, e lo stesso Presidente del Consiglio, possono non essere membri delle Camera. Ad esempio, nel Governo Monti gli incarichi sono stati conferiti a persone estranee al Parlamento.


Secondo la tradizionale tripartizione dei poteri dello Stato, al Governo spetta la funzione esecutiva che consiste nel dare pratica esecuzione alle scelte operate dal Parlamento.

Tuttavia, il Governo non è un semplice esecutore: governare significa provvedere ai più importanti bisogni della collettività.

Pertanto, è compito del Governo individuare gli interventi che è più urgente realizzare nell’interesse del Paese, proporre al Parlamento i disegni di legge necessari per realizzare tali interventi e dare attuazione concreta alla legge quando sarà stata approvata.

Va da sé che i poteri del Governo sono considerevoli per quantità e importanza: esso si trova gerarchicamente a capo del poderoso apparato della Pubblica amministrazione, ha il comando della polizia e dell’esercito, amministra le finanze dello Stato, nomina i più alti funzionari pubblici e ha il controllo dei servizi segreti.


Senza dubbio, un Governo che ha fatto parlare molto di sé è stato quello di Giulio Andreotti.

Giulio Andreotti, nato a Roma nel 1919, è stato un giornalista e politico italiano, uno tra i principali esponenti della Democrazia Cristiana, partito protagonista della vita politica italiana per gran parte della seconda metà del XX secolo.

Ha partecipato a dieci elezioni politiche nazionali ed è stato il politico con maggiori incarichi governativi nella storia della Repubblica.

A cavallo tra XX e XXI secolo fu imputato in un processo per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso: l’organo giudicante ravvisò che Andreotti dimostrava «un'autentica, stabile, ed amichevole disponibilità verso i mafiosi» sino al 1980, mentre, da quell'anno in poi, portò avanti un «incisivo impegno antimafia condotto nella sede sua propria dell'attività politica».


Il film Il divo racconta in modo dettagliato la sua vita nel periodo a cavallo tra l’inizio del suo VII Governo e l’inizio del processo di Palermo, per collusioni con la mafia.

All’inizio si riporta una lunga serie di omicidi, collegati direttamente o indirettamente ad Andreotti: Moro, Dalla Chiesa, Pecorelli, Falcone, Calvi, Sindona, Ambrosoli. Da sfondo a questi. Ci sono le parole delle lettere di Aldo Moro, che dalla sua prigionia per mano delle Brigate Rosse parlava di Andreotti: ne evidenziava la poca umanità, il cinismo e lo scongiurava di trattare con i terroristi per la sua liberazione.

La vicenda principale, però, prende piede il giorno della presentazione del suo VII governo andreottiano, il 12 aprile 1991.

Negli uffici di Andreotti, si radunano i vertici della sua corrente: Paolo Cirino Pomicino, Giuseppe Ciarrapico, Salvo Lima, Franco Evangelisti, Vittorio “Lo Squalo” Sbardella e il cardinal Fiorenzo Angelini, detto “Sua Santità”.

All’ordine del giorno, emerge la futura elezione del Presidente della Repubblica, a successione di Francesco Cossiga. Chi più adatto di Andreotti?

Chiamato a confermare la sua candidatura, Andreotti accetta; nella corsa al Quirinale, però, si scontra con la candidatura del segretario democristiano, Arnaldo Forlani: nessuno dei due è disposto a fare un passo indietro in favore dell’altro.

Successivamente la scena si sposta in Parlamento: al momento della prima elezione, scoppia una discussione, con urla, oggetti lanciati e manette. Nonostante ripetute votazioni, nessun candidato riesce a raggiungere una maggioranza; così, durante una pausa, i sostenitori di ciascun candidato cercano di raccogliere maggiore sostegno.

Se Andreotti all’inizio riscosse molta fama e voti, a seguito dell’omicidio Falcone la sua immagine venne danneggiata: ormai era considerato un esponente di una corrente politica legata alla mafia.

Questo problema si era sollevato anche precedentemente, con la morte di Salvo Lima: l’omicidio era avvenuto per vendicare il tradimento di una classe politica che si era servita dei voti di Cosa Nostra, senza rispettare gli accordi presi.

L’esito degli scrutini conferma la situazione andreottiana: il Presidente della Repubblica eletto è Scalfaro. Nella pellicola si vede molto bene la reazione del parlamentare democristiano: sangue freddo e dignità, atteggiamento che solo Andreotti avrebbe potuto tenere di fronte a una sconfitta simile.

La seconda parte del film si incentra sui presunti rapporti con la mafia, fino alle udienze del maxi processo.

Dopo l’elezione di Scalfaro, scoppiò il caso di Tangentopoli: si lascia presumere che Andreotti abbia dato documenti compromettenti al pool di Milano, proprio per sbarazzarsi di alcuni politici “scomodi”.

Tra il 1993 e 1994, Cosa Nostra cadde a causa dei numerosi pentimenti, arresti e leggi speciali.

Nei colloqui con diversi pentiti, tanti pentiti parlano dei rapporti tra Andreotti e Cosa Nostra sugli affari e gli omicidi voluti da Licio Gelli e Pippo Calò.

Andreotti, da parte sua, si decise a combattere questa ultima battaglia, mobilitando risorse personali e finanziarie notevoli: respinse le accuse di collusione con la mafia, negandolo a se stesso e perfino al suo confessore e opponendo la sua vita da “sorvegliato speciale” da parte della scorta.

Il film si conclude con l’inizio del primo processo.


Ho trovato questa pellicola molto fedele al vero e interessante: credo che sia un’ottima testimonianza della personalità pragmatica di Giulio Andreotti.

Senza dubbio è stato un esponente importante della politica italiana, impossibile da eclissare nell’analisi della nostra storia della Repubblica.

Secondo me, la parte più interessante è la sua ambiguità: politicamente parlando, lo si può definire un politico leale? Io dico di no.


Sicuramente questa domanda non ha risposta univoca, ma la mia è un'opinione che porta con sé qualche retaggio classico e un po’ di ingenuità tipica di una ragazza giovane.

Fino a 50 anni fa, la politica era un’occupazione signorile: era caratterizzata da una classe sociale istruita e competente. Al di là degli errori compiuti, al suo interno c’erano donne e uomini capaci di parlare e, nel bene o nel male, di mantenersi coerenti nelle posizioni prese. Piano piano, però, la corruzione e la fame di potere hanno distrutto quasi tutto il bello, trasformando quel mondo in un gioco: ad oggi, o ci sono persone competenti che non sanno parlare al popolo o ci sono persone che parlano al popolo, ma di fatto non sanno nemmeno loro di cosa.

La lealtà è una virtù e tanti politici se ne sono dimenticati: non ci si interessa più a tutelare i cittadini, ma a guadagnarsi un posto in un programma televisivo in prima serata, dove lanciare slogan politici e parlare solo dei propri interessi. Chissà cosa ha generato tutto ciò...


Nell’antica Grecia, si sono susseguite molte forme di governo. Tuttavia, si sa che è stata soprattutto la culla della democrazia, sotto Pericle: i greci erano profondi sostenitori del pensiero libero, del relativismo culturale e dell’uomo stesso. Grazie all’ambiente fiorente che caratterizzava Atene, nacque la filosofia, che degenerò in sofistica. Quest’ultima era profondamente criticata all’interno della società, perché sfruttava l’abilità oratoria in malo modo: i sofisti scrivevano discorsi stucchevoli, per incantare la gente e persuaderla a fare o dire ciò che interessava loro. Come si può vedere, l’interesse dei sofisti e quello dei nostri politici è l’amor proprio.

In Grecia era un atteggiamento riprovevole perché si credeva che l’atteggiamento del singolo avesse ripercussioni su tutto il tessuto sociale: bisogna aspettare qualche decennio prima che venga riconosciuta la colpa del singolo, responsabile per le proprie azioni. Pertanto, in risposta alla nascita della sofistica, si crearono altre correnti di pensiero, tra cui lo stoicismo.

Fondato da Zenone di Cizio, pone al centro della sua discussione l’etica e, proprio per questo, fu l’unica filosofia ripresa a Roma. Secondo gli stoici, la perfetta natura di un essere razionale è la perfezione della ragione, e la perfezione della ragione è la virtù.

Secondo il mos maiorum romano, il negotium, ovvero il lavoro pubblico, rappresentava l’occupazione principale, nonché io centro delle virtù, dal momento che un uomo attivo socialmente doveva essere coraggioso, valoroso, temperato, laborioso, sincero e saggio, ma soprattutto leale: le colpe e le lodi erano pubbliche.

Il modello romano, in accordo con la virtus, sembra essere quello ideale: oltre alle qualità dei singoli senatori, la volontà popolare era davvero tenuta in considerazione. Seneca, tuttavia, scrisse che la corruzione dilagava anche al suo tempo: in De brevitate vitae scrisse che tutti si preoccupavano troppo di guardare al guadagno e al nemico, piuttosto che curare la loro anima e tutelare quella altrui.


Forse proprio perché il Governo ha un ruolo così importante, i politici hanno la vista oscurata dall’ambizione di entrarci e spesso, oltre che a mentire ai cittadini, mentono a loro stessi: penso che facciano promesse impossibili per sentirsi acclamati e assaporare un istante il potere. Sono contro la politica individualistica, anche perché è impensabile che una sola persona possa rappresentare e tutelare idee e interessi di un intero Stato. Sono fermamente convinta che il Germanicum possa funzionare se e solo se si ritorni ad una politica di rappresentanza, dove lavorare non è una lotta per emergere, ma un onore.

Alla fine si tratta solo di questo, perché la classe politica è lo specchio della società. Spero che, un giorno, oltre a vantarci dei reperti materiali lasciatici dai romani, ci vanteremo a petto gonfio di aver recuperato quei valori che hanno consentito loro di conquistare il mondo occidentale.


I. Consolini

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