Fonetica e fonologia: alla base della comunicazione
Ad un certo punto della storia, tra i 70.000 e i 30.000 anni fa, l’Homo sapiens iniziò a parlare. Gli studiosi ancora oggi non ne sanno con certezza il motivo: c’è chi ritiene che l’uomo sia stato spinto da ragioni strettamente pratiche - come la necessità di avvertire un compagno della presenza di una bestia - , e c’è invece chi afferma che fu dovuto alla volontà di scambiarsi informazioni che, per la maggior parte, non riguardavano bisonti o leoni, ma altri sapiens, ovvero alla volontà di scambiarsi gossip. Agli ζῷα πολιτικόν (zóon politikón), gli animali sociali, interessava sapere chi odiasse chi, chi dormisse con chi, chi fosse onesto e chi invece fosse un imbroglione. Secondo questa seconda teoria, dunque, il nostro linguaggio si sarebbe evoluto come modo di fare pettegolezzo. Sembrerebbe uno scherzo, eppure è un’idea molto diffusa e supportata da numerosi linguisti. La comunicazione è la base della vita politica, nel senso stretto di “relativa alla polis” degli esseri umani. Ne è prova che, ancora oggi, gran parte della comunicazione umana è, essenzialmente, un pettegolezzo. Chiacchierare è talmente naturale che viene spontaneo pensare che il linguaggio sia nato proprio da questo. Ad ogni modo, è altamente probabile che entrambe le teorie siano valide, e che si siano aiutate a vicenda, creando un solido nido per la comunicazione umana.
Ciò che è certo, però, è che da qualche punto si sarà pur iniziato. Senza dubbio, le parole non sono comparse nella mente dei sapiens da un giorno all’altro. Prima degli effettivi termini, c’erano soltanto suoni. Un suono che corrispondeva ad una chiamata di aiuto, uno che invece esprimeva felicità. Dapprima suoni probabilmente semplici, e in seguito più complessi, fino a combinarsi tra loro e formare delle parole. La branca della linguistica che si occupa della produzione, la percezione e le caratteristiche dei suoni è detta fonetica - dal greco φωνή (phōnḗ), "suono". Mentre la scienza che studia i fenomeni linguistici di ciascuna lingua e la modalità con cui questi vengano organizzati è la fonologia - sempre derivante dal greco φωνή, accostato al suffisso -logia, da λόγος (lógos), "parola".
Foni, fonemi e grafemi
Inspirando non siamo in grado di emettere suoni. Basta provare per rendersene conto. La cassa toracica si allarga e non permette ad alcun suono di articolarsi. Espirando, invece, i muscoli comprimono la cassa toracica che a sua volta comprime i polmoni, i quali rilasciano l’aria che in seguito passa da bronchi a trachea, attraversando la laringe, dove sono presenti i due lembi detti corde vocali. Queste pieghe entrano in vibrazione, l’aria passa per la faringe, arriva nel cavo orale e qui, finalmente, avviene la distinzione dei suoni. E i suoni compongono parole elaborate dalla mente, che, se poste nel corretto ordine, con la corretta concordanza tra loro, formano frasi di senso compiuto.
I suoni articolati di qualsiasi lingua vengono detti foni. Alcuni foni possono comporre parole diverse se posti in posizioni alternate - per esempio, se nella parola petto il primo fono, “p”, viene sostituito da altri foni si vengono a creare parole con significati completamente diversi: letto, setto, detto… I foni che, se alternati nelle stesse sequenze di suoni, cioè nelle stesse parole, distinguono termini di significati diversi vengono chiamati fonemi: un’entità astratta, un modello mentale che serve per identificare le parole nel flusso di suoni. Ogni fonema corrisponde sempre a un fono, ma non tutti i foni corrispondono ad un fonema, sicché per definire un fonema, occorre un’unione di suoni con un significato. Ad esempio, se dovessimo sostituire il fono “s” nella parola sera con il fono“p” si verrebbe a formare la parola pera, che rappresenta qualcosa e non è affatto privo di significato. Al contrario, se si sostituisse il suddetto fono con “b”, si otterrebbe bera, termine privo di significato: il suono dunque non sarebbe considerabile come un fonema.
A livello grafico è possibile distinguere i fonemi dai grafemi: si tratta di simboli grafici con cui viene reso un suono linguistico.
Sorge spontaneo, però, un dubbio a questo punto: siccome ogni lingua possiede i propri suoni e, in certi casi un alfabeto che non corrisponde a quello latino, com’è possibile distinguere i suoni in maniera internazionale, senza l’uso cioè di grafemi aderenti ad uno specifico alfabeto? Per questo quesito è stata elaborata una risposta semplice: l’IPA (International Phonetic Alphabet). L’IPA è il sistema di notazione fonetica che utilizza un insieme di simboli per rappresentare ogni suono esistente nelle lingue parlate, comprendendo ogni idioma del globo. In altre parole, i grafemi elaborati dall’IPA non sono altro che i numeri della linguistica: ciò che, indipendentemente dalla lingua parlata, ci permette di riconoscere un’entità, in questo caso un suono, come tale. Ciò che in russo viene scritto come Д;д, in greco come Δ;δ e in arabo come ﺩ, è possibile pronunciarlo univocamente, in qualsiasi emisfero del globo, come una semplice “d” grazie all’IPA.
Vocali e consonanti
Inspirando, come spiegato in precedenza, si forma una colonna d’aria che, passando per la laringe e mettendo in vibrazione le corde vocali, è in grado di produrre suono. Il suono che viene prodotto, però, non è univoco. Si distinguono infatti in due categorie principali le tipologie di suoni emessi: vocali e consonati. Le vocali si producono quando la colonna d’aria non incontra alcun ostacolo e quindi permette all’aria di vibrare in modo regolare. Il timbro del suono emesso dipende da due parametri: l’altezza della lingua nella cavità orale e l’avanzamento (o arretramento) della lingua. Per rappresentare i suoni vocalici viene impiegato il Triangolo di Jones, qui riportato.
Com’è possibile notare dal Triangolo di Jones, le vocali toniche dell’italiano sono sette (i, é, è, a, ó, ò, u). Al vertice in basso è presente la a, la quale rappresenta il massimo grado di apertura della bocca. Non a caso i dentisti chiedono di “fare a” durante le visite. Sul lato sinistro del triangolo sono poi collocate la e aperta ([ε]), la e chiusa ([e]) e la i. Nell’articolare queste vocali, la bocca si restringe fino quasi a chiudersi in un sorriso con la i; la lingua avanza sul palato e perciò sono dette palatali o anteriori. Sul lato destro del triangolo, invece, sono poste la o aperta ([ɔ]), la o chiusa ([o]) e la u. Nell’articolazione di queste vocali la bocca si restringe fino quasi a chiudersi in un cerchio con la u; la lingua arretra in corrispondenza del velo palatino e perciò sono dette velari o posteriori. Nei grafemi italiani le vocali sono solo cinque e per distinguere tra e aperta ed e chiusa, o tra o aperta ed o chiusa, disponiamo degli accenti acuti per le vocali chiuse e gravi per le aperte. Sono inoltre presenti due semiconsonanti, ovvero lo “iod” ([j]) e la “uau” ([w]), le quali sono semplicemente una i e una u non accentate e seguite da un’altra vocale; ad esempio la i di ieri ([j]) e la u di uomo ([w]), il cui suono risulta essere “a metà” tra vocale e consonante. Basta provare a pronunciare rispettivamente la i e la u come vocali toniche per accorgersi di come il suono, ma soprattutto la posizione della lingua, cambi.
A differenza delle vocali, le semivocali e le semiconsonanti non possono mai essere pronunciate da sole, ma necessitano di un’altra vocale d'appoggio. Questi suoni sono chiamati dittonghi, appunto per la duplicità del suono (in greco φθόγγος, phthóngos). Possono essere di natura ascendente, quando sono formati da una semiconsonante e semivocale, - come piuma - o discendente, quando formati da una vocale e una semivocale - come pneumatico. Esistono anche gruppi vocalici formati da una semiconsonante, una vocale e una semivocale o da due semiconsonanti e una vocale, denominati come trittonghi; ad esempio aiuola.
Per identificare le consonanti, invece, bisogna considerare tre fattori: il modo in cui vengono articolate, il luogo dove vengono articolate e il tratto della sordità o sonorità che può caratterizzarle. Contrariamente alle vocali, le consonanti vengono prodotte quando la colonna d’aria incontra un ostacolo, che a seconda della sua natura, permette la produzione di tre tipologie di consonanti diverse: le occlusive - dette anche momentanee o esplosive -, prodotte quando il canale espiratorio si chiude completamente, le costrittive - dette anche fricative, spiranti o continue -, quando il canale si restringe soltanto, e infine le affricate che risultano essere la fusione delle due precedenti.
Sulla base del punto di articolazione, si possono produrre quattro tipologie di consonanti: le labiali se il blocco dell’aria avviene a livello delle labbra, le dentali se avviene a livello dei denti, le palatali se avviene sul palato anteriore, le velari se avviene all’altezza del velo palatino. Sono inoltre presenti due categorie intermedie, ossia le labiodentali - che si producono quando il blocco avviene fra labbro inferiore e incisivi superiori - e le alveolari - che vengono pronunciate quando la lingua tocca gli alveoli degli incisivi superiori.
Le consonanti sono infine distinguibili tra sorde e sonore se, rispettivamente, le corde vocali rimangono inerti o entrano in vibrazione.
Viene qui riportata una tabella riassuntiva, dove sono inserite le consonanti nelle relative categorie.
gorie.
Alla base della comunicazione
Ad un certo punto della storia, tra i 70.000 e i 30.000 anni fa, l’Homo sapiens iniziò a parlare. Non si svegliò una mattina con un determinato vocabolario in mente, ma iniziò comunicando attraverso suoni, muovendo inconsapevolmente le labbra e la lingua in un determinato modo, finché, unendo i suoni, formò delle parole. Alla base della nostra comunicazione non ci sono le frasi composte da soggetto, verbo e complemento, né ci sono le parole, ma i suoni. Brevissimi e impercettibili suoni che, alternandosi tra loro, producono immagini. Semplici movimenti della lingua che impariamo a compiere nei primi mesi di vita e che ci permettono di creare immagini, condividere pensieri, trasmettere emozioni. Sono solo semplici suoni. I mattoncini della comunicazione che, più di 30.000 anni fa, hanno plasmato la parola.
E. Miglio, 3ªC
Comments