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Come funziona la giustizia in Italia?

Giulia Castelvedere

L’art. 27 della Costituzione sostiene che la responsabilità penale è personale, ovvero che solo la persona che ha commesso il reato risponde a tali azioni. In Italia persiste un sistema garantista e per questo l’imputato non può essere considerato colpevole sino alla condanna definitiva di terzo grado. Il primo e secondo grado di giudizio è un momento all’interno del processo penale nel quale il giudice assume le varie informazioni che lo porteranno a dover scegliere la pena definitiva dell’imputato. È necessario sottolineare che l’individuo, anche se fosse un avvocato, non può auto difendersi durante il processo, perché ognuno ha il diritto di avere un difensore, sia d’ufficio che di fiducia, che possa difenderlo in giudizio. L’obiettivo della pena consiste nella rieducazione del carcerato, che non può essere sottoposto a trattamenti contrari al senso di umanità; in tal caso il sistema carcerario italiano affronta ogni giorno problematiche principalmente dovute dalla sovrappopolazione carceraria.


Da disposizione di legge ogni detenuto avrebbe diritto a uno spazio personale pari a sette metri quadri, quando nella realtà — a causa del sovrappopolamento — ognuno ha solamente a disposizione tre membri quadri. Aggiunto a ciò, durante la pandemia, a causa di una scarsità nelle risorse informatiche, la maggior parte dei detenuti italiani non ha avuto la possibilità di incontrare né fisicamente né in forma digitale i propri cari. Per questo, negli anni lo Stato italiano ha deciso di applicare diverse misure alternative che consistono nella detenzione domiciliare, nei servizi sociali oppure nella possibilità della semilibertà per coloro che hanno da scontare una pena inferiore a quattro anni. Ovviamente, se tali misure alternative non vengono rispettate, la risposta risiede nel carcere o — in casi estremi — in strutture psichiatriche.


Il carcere dovrebbe aiutare il detenuto al reinserimento all’interno della società, ma molte volte non è abbastanza per la totale reintegrazione della persona. Per questo, succede che nel momento in cui il detenuto finisca di scontare la propria pena e si trovi a rivivere nella società, diventi recidivo. Il problema carcerario italiano riguarda principalmente la mancanza di infrastrutture e di personale, infatti molte volte quando ai detenuti vengono proposti dei progetti, pochi decidono di partecipare proprio per la scarsità di personale e efficienza.


Per migliorare la situazione carceraria e successivamente la riabilitazione dei detenuti nel settembre del 2021 è stata approvata la giustizia riparativa che consiste nel considerare il reato in termini di danno alle persone nel quale l’autore del reato si impegna a rimediare alla conseguenze del suo comportamento. In tal argomento ho avuto la possibilità di partecipare a una conferenza tenutasi a Milano il 6 marzo 2023. Erano presenti: Franco Bonisoli, ex brigatista che partecipò al sequestro di Aldo Moro nel 1978, Manlio Milani, sopravvissuto alla strage di Piazza della Loggia del 1974 e infine Giorgio Bazzega, figlio di una maresciallo ucciso da un ragazzo appartenente alla Brigate rosse.


Tutti e tre sono pieni sostenitori della giustizia riparativa, difatti Bonisoli — dopo aver scontato trent’anni di carcere — ha intrapreso tale progetto. Quello che spinge l’ex brigatista a intraprendere tale percorso è il fatto che nonostante avesse scontato il proprio debito nei confronti dello stato, vive ancora oggi in una «gabbia interiore» dove si sente realmente colpevole e pentito delle proprie azioni. La giustizia riparativa viene da lui descritta come «la mia vera e grande rivoluzione», proprio perché grazie al confronto con coloro a cui ha recato dei danni Franco Bonisoli ha trovato un senso di libertà e pace interiore.


Per quanto possa essere scontato, anche la vittima deve affrontare la situazione: Giorgio Bazzega ne è il perfetto esempio. Dopo la morte del padre Giorgio provava un enorme senso di rabbia che tramutava in violenza sia per se stesso, che nei confronti degli altri; proprio perché si sentiva solamente visto e non guardato. Avendo perso il padre in età precaria, tutti gli concedevano di potersi comportare come desiderava perché «Poverino, ha perso il padre», e questo lo portò a rifugiarsi nella droga fino ad esserne dipendente. Arrivato ad un certo punto della sua vita, si rese conto che la violenza generava solamente violenza e che aveva il disperato bisogno di dover affrontare la situazione dolorosa sotto i suoi occhi. Per questo decise di incontrare coloro «che avrebbe ucciso con le proprie mani», coloro che erano causa della morte del padre e di tutto il suo dolore. La giustizia riparativa gli ha insegnato che nonostante il dolore rimanga comunque, doveva trovare un modo per riuscire a tornare a vivere e per non essere considerato sempre e solo come la povera vittima.


Allora la giustizia riparativa dovrebbe essere consentita a tutti? Anche ai mafiosi? Anche a coloro come Angelo Izzo che dopo avergli concesso la semilibertà, posto aver scontato più di venti anni di carcere per il caso Circeo, uccise nuovamente la sua compagna insieme alla figlia? In tutti i casi la giustizia riparativa può funzionare? Franco Bonisoli è realmente pentito di ciò che ha commesso o i suoi vecchi ideali permangono in lui?


G. Castelvedere

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