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Writer's pictureRedazione di Carliweek

DIRITTO E ROVESCIO (1^ pt.)

Dicono che l’Italia sia stata creata a immagine e somiglianza del Paradiso: basti pensare che la nostra cucina è invidiata in tutto il mondo, migliaia di turisti vengono qui ogni anno per ammirare il nostro patrimonio culturale, in ogni regione ci sono delle peculiarità e il nostro territorio dispone di laghi, monti, mari... per non parlare della ricchezza artistica! Disponiamo del maggior numeri di Patrimoni Unesco, grazie a cui il nostro Paese ha acquisito il titolo di “mondo delle meraviglie”. Ogni angolo è speciale: tutte le regioni hanno i propri sfondi paesaggistici, caratterizzati da colori e forme uniche.


Nelle piazze italiane si ha la fortuna di assaggiare piatti tipici, ascoltare i vari dialetti e vedere nello stesso tempo più generazioni: gli anziani seduti al bar; uomini e donne di mezza età che corrono, con le valigette in mano, per non arrivare in ritardo al lavoro; i giovani che o vanno a scuola o la saltano, fumando una sigaretta su degli scalini. Dalle piazze si capisce tanto della quotidianità, soprattutto grazie alle voci che ne fanno da padroni: spesso si sentono imprecazioni per le giocate perse, urli di gioia per le partite vinte e parole di amore.

Tuttavia, in Italia, l’argomento preferito delle chiacchiere di piazza è la politica. Detto così, sembrerebbe quasi perfetto: cosa c’è di più bello di un popolo che si interessa al potere?

Questo mito deve essere subito sfatato: nelle piazze, prendono piede slogan politici e, soprattutto, lamentele che, per la grande maggioranza di volte, sono infondate.

In un attimo e alla luce del sole, l’Italia, da “mondo delle meraviglie”, si trasforma in “mondo dei balocchi”.

Lo Stato di quali poteri dispone per esercitare le sue funzioni? Quali sono i suoi organi politici e amministrativi? In che modo si rapporta con gli altri Stati e con gli organismi sovranazionali? Queste informazioni sono di grande utilità per tutti i cittadini, eppure sono convinta che pochi saprebbero dare risposta a tali domande. Tutti dovremmo conoscere come funziona il nostro Paese per due semplici ragioni: per tutelarci e per tutelarlo. In realtà, però, conoscerne solo il funzionamento è riduttivo: sarebbe come leggere le istruzioni

d’uso di un oggetto. Prima di scoprire la finalità di ogni pulsante, è bene scoprire a cosa serve, come lo valutano altri acquirenti, se funziona bene o male: in questo modo, risulta più facile capire se valga la pena comprarlo.

Provando a riassumere i commenti sullo Stato che emergono dalla società civile, si crea questa rassegna:

- “Non mi riconosco in questo Stato!”

- “Questo non è un Paese democratico!”

- “In Italia ci sono troppe leggi!”

- “La normativa sulle imprese è soffocante: la gente si ammazza!”

- “La mobilità del lavoro favorisce l’occupazione!”

- “Basta spesa pubblica! Basta tasse!”

Questi sono semplici esempi di ciò che ciascuno potrebbe aver ascoltato in varie occasioni. Se ci si fermasse solo a questo, penseremo che se lo Stato fosse l’oggetto di cui parlavamo prima, non lo compreremo mai. Il problema è uno: non si può decidere se comprare o meno l’Italia. È il Paese in cui viviamo ed è con questa realtà che dobbiamo interfacciarci.

Allora diviene fondamentale capire le voci di piazza: cosa c’è di fondato? Cosa c’è di esasperato? E cosa c’è di decisamente sbagliato?

Innanzitutto, è necessario differenziare le due tipologie di Stato. La dimensione geografica-politica costituita da un territorio su cui vive stabilmente un popolo, dotato di una sovranità, si chiama Stato comunità. Ad esempio, ci riferiamo ad esso quando diciamo che l’Austria e l’Italia sono confinanti. Lo Stato apparato, invece, è chiamato l’apparato che entro i confini dello Stato comunità esercita concretamente il potere sovrano. In Italia, il potere di comando è affidato al Parlamento, al Governo e al Presidente della Repubblica. Pertanto, quando ci interroghiamo su che cosa possiamo aspettarci dallo Stato, ci riferiamo implicitamente, ma inevitabilmente, allo Stato apparato e ai suoi organi politici e amministrativi. Quante volte si è sentito dire “In Italia ci sono troppe leggi!”?

Nell’antica Roma, si sosteneva plurimae leges, pessima res publica (letteralmente: molte leggi, pessimo Stato). Magari sarà perché tutta la nostra cultura si basa su quella latina, ma questo sembra proprio il nostro caso: se da una parte è vero che il numero di leggi sia eccessivo, dall’altra bisogna considerare che esistono leggi e leggi. Molte di esse servono a controllare i rapporti sociali: dal momento che quest’ultimi diventano ogni giorno più complessi, è inevitabile che aumentino anche le norme. A seguito di queste, ci sono le normative che in Italia generano maggior malcontento popolare: queste sono quelle finalizzate a regolare l’attività dello Stato e i suoi rapporti con i cittadini (pensiamo, ad esempio, alle leggi sul funzionamento della burocrazia).

Per costruire un sistema giuridico razionale e comprensibile, bisogna disporre di efficienza e visione chiara degli obiettivi. Purtroppo, l’inefficienza italiana è testimoniata dall’accumulo di norme improvvisate e contraddittorie; in modo automatico, ne risente notevolmente anche l’ordinamento giuridico, che cessa di essere un complesso ordinato e coordinato. La chiarezza, la ragionevolezza e l’equità dovrebbero essere i requisiti fondamentali per la creazione di leggi. Infatti, norme opinabili generano incertezza nei cittadini, alimentano il ricorso alla Magistratura e agevolano chi è in grado di aggirarle. Norme ragionevoli, invece, sono quelle che non introducono obblighi inutili e divieti incomprensibili. Infine, tutto l’ordinamento dovrebbe fare riferimento a un unico parametro: l’equità. L’equità delle norme è la condizione inviolabile per la generale accettazione, nonché garanzia di pace sociale. C’è da dire che nessuno vivrebbe bene in un Paese nel quale la delinquenza organizzata controlla la società, dove c’è evasione fiscale e in cui in vaste aree della popolazione il rispetto della legge è vissuto come opzionale. Pertanto, a questi tre caratteri, è fondamentale aggiungerne un altro: la capacità di far rispettare le norme.

La democrazia, oggigiorno considerata un valore assoluto e irrinunciabile, fino a un secolo fa era vista come un modello assolutamente negativo: si sosteneva che fosse una disgrazia da scongiurare, perché si dava al popolo ignorante un potere che avrebbe usato nel modo peggiore. Chissà quante volte si è sentito “Questo non è un Paese Democratico!”. Se in Italia non ci fosse democrazia, non ci sarebbe neanche la possibilità di protestare per la sua assenza. Ad oggi, però, in tutti i Paesi occidentali c’è stato un sufficiente grado di democratizzazione... ciò che crea qualche problema, invece, sono le modalità in cui questa viene esercitata.

L’origine del termine deriva dal greco demos (popolo) e kratos (potere); quindi, la democrazia è una forma di Stato in cui il potere decisionale appartiene al popolo. Tale potere può essere esercitato direttamente, tramite referendum, e indirettamente, grazie alle elezioni.

Allora, la domanda che dobbiamo porci è: come compie il cittadino le proprie scelte? Come e quanto si informa sugli attributi di competenza, serietà e onesta dei candidati che andrà ad eleggere? Come e quanto si informa sui reali effetti della sua scelta quando vota per un referendum?

In Italia, nel 2016, si è tenuto un referendum per confermare o respingere una legge di riforma costituzionale; molti hanno votato “Sì”, molti hanno votato “No”... quanti, però, prima di votare hanno effettivamente letto e meditato sul testo di legge?

Sfatiamo un altro mito: all’estero le cose non vanno meglio. Sempre nel 2016, in Inghilterra si è tenuto un referendum con il quale si è chiesto agli elettori se volessero che il loro Paese rimanesse membro dell’Unione Europea oppure no: il 51,8% degli elettori ha votato “No”. Il dubbio persiste: quanti si sono documentati sugli effetti che la loro scelta avrebbe prodotto sul piano economico e finanziario? Sarebbe altrettanto interessante sapere se, nel 2005, quando i cittadini di Francia e dei Paesi Bassi sono stati chiamati a ratificare l’approvazione di una Costituzione europea (già sottoscritta nel 2004 da tutti i membri del Consiglio europeo), ne avessero letto il testo prima di respingerla con un referendum popolare. Pertanto, non sarebbe doveroso chiederci con quale consapevolezza e impegno noi cittadini esercitiamo i poteri che la democrazia ci attribuisce, prima di condannare lo Stato come “poco democratico”? La domanda è abbastanza retorica.


Infine, con molto rammarico, confermo di aver sentito troppo spesso dire “Non mi riconosco in questo Stato!”.

L’Italia, tra tutti i Paesi europei, è forse quello nel quale l’identificazione con lo Stato è più debole.

Certamente i problemi che affliggono il nostro tessuto sociale non aiutano: l’abusivismo, l’evasione fiscale, la cattiva gestione del denaro pubblico, la fuga all’estero sia di cervelli sia di imprese e capitali testimoniano, in chi li pone in atto, cinismo e indifferenza verso il nostro Paese.

Cosa ci impedisce di considerarci e agire come una comunità unità che, collaborando

correttamente, può fare grandi cose? Di certo la risposta a questa domanda non la si trova sulle pagine di cronaca: bisogna scavare più a fondo, nella nostra storia politica.


Sul prossimo numero di Carliweek, lo faremo insieme.

I. Consolini


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