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Writer's pictureRedazione di Carliweek

DIRITTO E ROVESCIO (3^ pt.)


L’articolo 48 della Costituzione regola il diritto di voto.

Il primo comma stabilisce:

“Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età”.

Questa disposizione conferma il suffragio universale, introdotto per la prima il 2 giugno del 1946.

Mentre, il secondo comma precisa:

“Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico”.

Qui si accolgono i principi della personalità, uguaglianza, libertà e segretezza del voto. Per personalità si intende che ogni cittadino deve presentarsi in prima persona a esercitare il proprio diritto di voto e non è ammessa alcuna forma di delega. Uguaglianza significa che tutti i voti espressi hanno tutti lo stesso valore. Libertà vuol dire che l’elettore deve sentirsi libero di esprimere la sua volontà, senza alcuna forma di coercizione, minaccia o violenza. Con segretezza si intende che nessuno può pretendere di conoscere il voto altrui, a meno che quest’ultimo non voglia.

La norma si chiude con il terzo comma, che così recita:

“La legge stabilisce requisiti e modalità per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini residenti all’estero [...]. A tal fine è istituita una circoscrizione Estero [...].”

Gli elettori che risiedono all’estero hanno diritto di eleggere dodici deputati e sei senatori, inviando per posta il loro voto al più vicino consolato italiano.

In ogni Paese vi è un sistema elettorale diverso dagli altri. Tutti i sistemi elettorali che si conoscono presentano sia aspetti positivi sia aspetti negativi: non sono infallibili. La loro funzione è quella di trasformare i voti in seggi, tramite un processo matematico. Ogni Stato adotta quello che, in base al momento storico o al tessuto sociale, si

prospetta essere il più rispondente alle proprie esigenze.

Innanzitutto gli obiettivi principali di un corretto sistema elettorale sono consentire una sicura guida politica al Paese e garantire che l’Assemblea eletta rispecchi fedelmente l’orientamento politico degli elettori.

Il primo obiettivo è perseguibile tanto più facilmente quanto minore è il numero dei partiti presenti in Parlamento. Il secondo, invece, non è meno importante del primo, ma proprio con quello si pone in contrasto: infatti, solo la presenza di una molteplicità di partiti consente realmente agli elettori di scegliere quello che più riflette il proprio orientamento.

Dall’instaurazione della Repubblica, in Italia si sono susseguiti tanti sistemi elettorali.

Dal 1946 al 1994 si parla di Prima Repubblica: è stato un periodo in cui si sono visti grandissimi cambiamenti all’interno del panorama italiano, non solo politico, ma anche sociale: ad esempio, c’è stata l’introduzione del divorzio e dell’aborto. Nel pieno della Prima Repubblica, tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli Ottanta, ci sono stati gli anni di piombo: un vero periodo nero per la storia italiana. La strage di piazza Fontana e quella di piazza Loggia, gli attentati sui treni e quelli alle stazioni

hanno insinuato nelle persone la paura che la vita di ciascuno fosse appesa ad un filo. Inoltre, nello stesso periodo, c’è stato il dialogo tra lo Stato e la mafia, che ha portato tanti politici ad essere soggetti di accuse pesanti. Mentre in Italia il compromesso storico stava diventando quasi realtà con la coalizione tra Democrazia Cristiana è Partito Socialista Italiano, l’Unione Europea stava nascendo.

Il periodo della Prima Repubblica è un periodo di transizione: nel corso dei suoi anni, gli errori commessi ci hanno portato ad essere ciò che siamo oggi.

Nel 1994, i partiti che la costituivano si sciolsero, a causa soprattutto di operazione mani pulite e della trattativa Stato-mafia.

Attraverso le elezioni, si può notare che qualcosa, già dal 1964 stava scricchiolando: c'erano troppe alleanze improponibili, che facevano cadere i Governi come se fossero mosche.

Allora, ricostruiamo i vari sistemi elettorali durante e a seguito della Prima Repubblica.

Il 18 aprile del 1948 ci furono le prime elezioni significative per eleggere il nuovo Parlamento; per questa occasione, venne introdotto un sistema elettorale chiamato proporzionale plurinominale.

In vigore dal 1948 al 1993, venne utilizzato per l’elezione della Camera dei deputati e, parzialmente, anche per il Senato. Questo sistema si basa sulla divisione del territorio nazionale in zone ampie, chiamate circoscrizioni: agli elettori residenti in ogni circoscrizione spetta di eleggere un certo numero di candidati che andranno a ricoprire altrettanti seggi in Parlamento. È caratterizzato da due peculiarità: la prima é che c’è una corrispondenza diretta tra la percentuale di voti e i seggi; la seconda è che al suo interno è previsto un voto di preferenza. Ogni partito, nelle varie circoscrizioni, presenta una lista di ipotetici candidati contrassegnata da un simbolo. L’elettore, allora, vota il simbolo del partito prediletto e, se lo desidera, esprime propria la preferenza per un massimo di due candidati, indicando il loro nome.

Questo sistema elettorale è il più democratico, proprio perché la volontà popolare è rispettata al massimo, grazie alla corrispondenza tra voti e seggi, caratteristica che spiega l’aggettivo “proporzionale”. Inoltre, viene definito plurinominale perché, in ciascuna circoscrizione, viene eletta una pluralità di candidati.

Eppure, come tutti i sistemi, nemmeno questo è perfetto: il suo maggior pregio sta nella sicura democraticità; con esso, anche i partiti che ottengono una bassa percentuale di voti hanno diritto a un corrispondente numero di seggi. Ciò garantisce ai partiti di avere una rappresentanza in Parlamento di egual misura alla loro forza elettorale. Il suo maggior difetto è riconducibile al mancato conseguimento del primo obiettivo di un buon sistema elettorale: consentire una sicura guida politica al Paese.

Abbiamo detto che questa condizione è tanto più rispettabile quanto minore sono le formazioni politiche, ma il sistema proporzionale plurinominale disperde il voto degli elettori tra numerosi partiti e ciò rende difficile l’arrivo ad una maggioranza univoca di una sola fazione.

Per esempio, nel 1948 la Democrazia Cristiana ottenne 305 seggi, pari al 48,5% di voti, ottenendo così la maggioranza assoluta. Tuttavia, già nel 1953 ricevette solo il 40% di voti, corrispondente a 263 seggi: questo risultato portò inevitabilmente all’incapacità di governare da sola. Così, il partito, per ottenere la maggioranza assoluta (50+1%), fu costretto ad allearsi con partiti affini ad esso - quali PLI, PRI, PSDI-: si assistette alla prima coalizione.

Le alleanze tra più partiti sono spesso instabili perché costringono formazioni politiche, che esprimono interessi materiali o ideali diversi, a una convivenza forzata. In esse la coesione interna é ulteriormente minacciata dall’esigenza, sentita dai partiti di minore consistenza numerica, di non essere posti in ombra da quelli maggiori: la storia ci insegna che ciò può indurli ad assumere posizioni contestatarie nell’ambito della stessa coalizione di cui fanno parte.

A seguito della crisi del mondo politico della Prima Repubblica, nel 1993, raccogliendo il diffuso scontento popolare, le Camere hanno approvato una nuova legge, passata alla storia come Mattarellum, poiché il primo firmatario è stato l’attuale Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

Questo sistema elettorale è un sistema detto “all’inglese”, perché è utilizzato nel Regno Unito e nei Paesi anglosassoni. Come il sistema proporzionale, prevede la ripartizione del territorio nazionale in alcune zone: in questo caso, però, sono più piccole e sono dette collegi, in ciascuno dei quali può essere eletto un

solo candidato. Se il nome di battesimo è Mattarellum, il nome vero proprio è sistema maggioritario a collegio uninominale è turno unico.Viene detto “maggioritario”, perché si aggiudica il seggio il candidato che ottiene il numero

maggiore di voti tra tutti i parlamentari; è detto “a collegio uninominale”, perché, come accennato precedentemente, ciascun collegio può eleggere un solo candidato; infine, lo si definisce “a turno

unico”, perché è previsto un solo turno elettorale. Il sistema maggioritario può condurre a risultati che non sempre riportano fedelmente l’orientamento del corpo elettorale, producendo così un effetto distorsivo: non tenendo conto di chi perde, si rischia che formazioni con largo seguito nel nostro Paese non ottengano una rappresentanza parlamentare corrispondente alla loro forza. Tuttavia, ha una molteplicità di effetti positivi: oltre alla creazione di maggioranze più stabili, impedendo il voto di preferenza, si sacrifica un po’ di libertà per permettere la conoscenza diretta con il candidato.

Ciò porta la campagna elettorale suoi luoghi del collegio, portando i parlamentari a creare un rapporto stretto e diretto con gli elettori.


I. Consolini

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