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Writer's pictureRedazione di Carliweek

Echi dal passato

«FLECTERE SI NEQUEO SUPEROS

ACHERONTA MOVEBO»




«Se non posso chiedere al cielo, solleverò l’inferno» (Virgilio, Eneide, VII, 312).

Nel contesto dell’Eneide, questo estrapolato è pronunciato dalla moglie di Giove, Giunone. La Dea, infatti, si contrappone costantemente al destino certo che spetta all’eroe troiano Enea: sposarsi con Lavinia, figlia di Latino, e fondare Roma. Ad esempio, nel IV libro, la Dea aveva fatto in modo che l’eroe sposasse Didone, così che non giungesse mai nel Lazio. Tuttavia, la volontà del padre degli dei è incontrastabile: Giove invia Mercurio a ricordare a Enea qual è il suo destino. Giunone, oramai perfettamente consapevole che ogni suo sforzo di fermare Enea sarà vano (come affermato in questo monologo), non sopporta una sconfitta per inazione. Decide, allora, di appellarsi agli inferi, in particolare ad Aletto (etimologicamente, l’innominabile), una delle terribili Erinni: è lei la furia che porterà alla guerra tra Enea e Turno, il contendente italico al matrimonio con Lavinia.


È interessante come questo verso di Virgilio possa essere ritrovato anche all’interno della produzione freudiana. Infatti, ripreso da Freud e inserito sotto il titolo de “L’interpretazione dei sogni”, esso rientra nella costruzione tipica dei monologhi tragici ed epici, in cui un personaggio esamina le proprie intenzioni (spesso malevole), giustificandole nonostante l’esito sia destinato a essere sgradito o fallimentare.

È da ricercarsi nella Medea delle Metamorfosi (VII) il motto più emblematico di questo topos: «Video meliora proboque, deteriora sequor» («Vedo le cose giuste e le approvo, ma seguo le peggiori»).


Infatti, nel contesto freudiano la citazione assume un ruolo ben diverso da quello dello stilema epico-tragico: uscendo dal dogma dell’anima, quale entità immateriale celeste, Freud delinea la psiche in quanto processo che non è atto ad ascendere, ma a inabissare.

Insomma, da un dilemma morale arcaico, che serviva a esplicare il motivo di un’azione futile da parte di una divinità, si passa, nel XX secolo, a un dilemma esistenziale: l’anima non è una fonte divina, ma un risultato fisico; e il suo aldilà non è inferiore o superiore, ma interiore.


I.Consolini

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