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Furto al museo

Mi trovavo sul treno che mi avrebbe portato a Brescia dopo un’emozionante giornata trascorsa nella città di Milano. La mattina infatti avevo visitato la mostra del pittore Tiziano sull’immagine della donna nel Cinquecento veneziano allestita a Palazzo Reale, edificio posto proprio accanto alla celeberrima cattedrale della città. In quel viaggio fu mio accompagnatore Carlo, uno dei miei più grandi amici. Il treno viaggiava spedito e, tutt’un tratto, si sedette di fronte a noi un signore distinto; sebbene il suo viso non mi fosse familiare, osservai discretamente il suo zaino e ricordai di averlo visto quello stesso giorno durante la visita alla mostra.

Noncurante della cosa, cominciai a commentare la visita culturale con il mio amico. Spiegai che ero rimasto impressionato dalla pittura del grande maestro Tiziano e dei suoi celebri contemporanei quali Giorgione, Lotto, Palma il Vecchio, Veronese e Tintoretto. Nel discorrere con il mio accompagnatore mi riaffiorarono alla mente i ricordi della mostra. Le sale buie appositamente illuminate per far risaltare le opere esposte presentavano numerosi dipinti, di cui sedici di Tiziano, il principale esponente del rinascimento veneziano, molti dei quali in prestito dal Kunsthistorisches Museum di Vienna, cui si aggiungevano sculture, oggetti di arte applicata, una creazione omaggio di Roberto Capucci a Isabella d’Este e frammenti letterari di opere antiche. L’esposizione rifletteva sul ruolo dominante della donna nella pittura veneziana del XVI secolo, che non ha avuto eguali nella storia della cultura occidentale. Dissi che il quadro che mi aveva impressionato maggiormente era il capolavoro di Tiziano raffigurante una giovane donna con un cappello piumato, proveniente dall’Hermitage Museum di San Pietroburgo. Forse il fatto che l’opera si trovasse proprio in quel luogo, nonostante le terribili vicende che stavano coinvolgendo la Russia e l’Ucraina, mi aveva colpito ancora di più.

Successivamente terminai il discorso e Carlo cominciò a parlare. Disse che per lui il dipinto migliore della mostra era quello raffigurante Giuditta, opera del pittore veneziano Lorenzo Lotto; sebbene il quadro fosse di dimensioni molto ridotte, l’aveva impressionato proprio la storia della protagonista dell’opera. Infatti, nella Bibbia si narra che una notte Giuditta, ricca vedova della città giudea di Betulia, avesse sfruttato la propria bellezza per distrarre e sconfiggere il generale Oloferne, che stava assediando la sua città. Una volta ubriacato, l’uomo cadde in un sonno profondo e la vedova lo decapitò; dopo aver posto la sua testa in un sacco, Giuditta fece ritorno vittoriosa nella sua città e, ostentando il trofeo, motivò i suoi concittadini a ribellarsi all’invasore.

Mentre il mio amico raccontava la storia di Giuditta, notai una certa sensazione di disagio nel passeggero di fronte a noi. L’uomo aveva iniziato a strofinarsi ripetutamente la fronte ed era totalmente concentrato sullo schermo del suo smartphone. Probabilmente, pensai, il passeggero era rimasto impressionato dal racconto della cruenta vicenda di Giuditta, proprio come il mio amico Carlo.

Proseguii dunque a discutere con il mio compagno di viaggio riguardo alla mostra, constatando come per Tiziano la bellezza artistica corrispondesse a quella femminile e di come lo stesso fosse meno interessato al canone di bellezza esteriore rispetto alla personalità di una donna e alla sua femminilità in quanto tale. A questo proposito, Carlo, appassionato di Storia, mi spiegò che rispetto alla generale condizione femminile dell’epoca, nel Cinquecento a Venezia le donne avevano molte libertà nella gestione dei beni personali, anche dopo la morte del marito, godevano di libertà sociali e potevano gestire attività e stipulare contratti. Questi privilegi, però, erano concessi solo alle donne più ricche e influenti della città.

Poiché sapevo che il mio amico avrebbe proseguito a parlare di storia per tutto il viaggio, decisi di interromperlo e di sviare la conversazione. Commentai dunque il momento in cui ci trovavamo nell’ultima sala della mostra e le luci si erano improvvisamente spente, facendo calare il buio più totale nella stanza per pochi secondi. Poi la luce era tornata e, poco dopo, eravamo usciti dal palazzo. Era stata un’esperienza piuttosto singolare.

Passarono alcuni minuti, guardai fuori dal finestrino del treno: stavamo viaggiando ad alta velocità attraverso la campagna bresciana, mancava poco all’arrivo. Il mio amico mi raccontò di aver letto qualche giorno prima che al Museo Picasso di Parigi un’opera contemporanea era stata sottratta da una signora anziana. In particolare, si trattava di una giacca blu appesa ad un gancio che poteva essere indossata dai visitatori e che conteneva nelle tasche una serie di cartoline che l’autore aveva collezionato in quindici anni della sua vita.

Ebbene, la signora, ignara del fatto che quella giacca fosse un’opera d’arte di enorme valore, aveva preso l’indumento, ripiegandolo e riponendolo poi con cura nella borsa; infine, lo aveva portato da una sarta per regolare la lunghezza delle maniche.

Mentre ascoltavo questo singolare racconto, notai che il passeggero di fronte a noi era divenuto improvvisamente agitato. Continuava a battere con forza il piede contro il pavimento del vagone del treno. In quel momento un passeggero del treno si alzò lentamente e sollevò il braccio per raggiungere il proprio bagaglio. L’uomo, però, spostò inavvertitamente lo zaino del passeggero seduto di fronte a noi e lo fece cadere a terra. La cerniera si allentò un poco e, durante la caduta dell’oggetto, riuscii a intravedere quello che sembrava uno spigolo di legno, forse una cornice. Animato dalla curiosità, inclinai leggermente la testa per scorgere il contenuto dello zaino, ma quando scoprii che cosa si trovasse al suo interno rimasi stupefatto. Era proprio il quadro di Giuditta.

Cercai di avvertire il mio amico, ma mi risultò piuttosto difficile. L’uomo che ci trovavamo di fronte, però, non si accorse della mia incredulità e, dopo aver riposto lo zaino assieme ai bagagli degli altri passeggeri, si alzò per raggiungere il bagno.

«Hai visto?» esclamai. «Che cosa?» replicò Carlo. Gli spiegai che avevo intravisto il quadro di Giuditta nascosto all’interno dello zaino del passeggero che era seduto di fronte a noi. Il mio amico però non mi credette, anzi disse che mi dovevo essere sbagliato di sicuro. Diceva che era meglio che mi riposassi e mentre parlava aveva assunto un’aria piuttosto compassionevole. Probabilmente aveva ragione, forse mi ero immaginato tutto. A pensarci bene ero piuttosto stremato dal viaggio e, come si suol dire, la stanchezza gioca brutti scherzi. Accesi dunque il mio smartphone e decisi di ascoltare della musica per cercare di riposare: nel fare questo, mi cadde però l’occhio sulla sezione “News”. Lessi la prima notizia: «Milano, quadro di Giuditta sottratto dalla mostra di Palazzo Reale. Una perdita inestimabile, si cerca il colpo.

D. Gregorini


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