top of page

Un messaggio di speranza

Al tramonto di domenica 19 dicembre 2021 stavo rientrando da Milano sul treno che mi avrebbe riportato a Brescia, la mia città. Mentre ero assorto nella lettura di un articolo di un quotidiano, la mia attenzione venne catturata da due ragazze che indossavano delle felpe particolari riportanti un logo e la scritta “1921-2021”.

Poiché si accorsero che osservavo incuriosito il loro abbigliamento, volsero lo sguardo verso di me, decisero di sedersi di fronte al mio posto e si presentarono come Anna e Maria, due sorelle studentesse dell’Università Cattolica di Milano che quella stessa mattina erano giunte alla sede milanese dell’Ateneo per partecipare all’inaugurazione dell’anno accademico. Dalle loro parole e dai tratti del volto riuscii ad intuire che le due ragazze provenivano dell’Europa orientale, forse dalla Romania o dall’Ucraina.

Mi spiegarono che quello sarebbe stato il centesimo anno accademico dell’Università. Per l’occasione era giunto un videomessaggio di papa Francesco e, dopo il discorso inaugurale del rettore dell’Università Franco Anelli, persino la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen aveva preso parte alla cerimonia.

In particolare, Anna disse che l’Università Cattolica celebrava i suoi cent’anni di storia scommettendo sulle nuove generazioni e su «un’Europa al servizio dei giovani»; spiegò poi che tutti i discorsi tenuti dagli illustri e autorevoli relatori erano accomunati da una grande apertura alla speranza. In effetti avevo notato che sulla manica della felpa era riportato un motto, una massima: «Un secolo di storia davanti a noi». Capii che questo era un chiaro riferimento alla storia di questa istituzione, ma anche al futuro che i giovani rappresentano per la società intera.

Infatti, Papa Francesco con particolare riferimento a questi tempi di pandemia aveva invitato gli studenti a non perdere mai la speranza, né a farsi contagiare dal virus dell’individualismo, chiarendo, con una quanto mai calzante similitudine con la situazione attuale, che l’università è il luogo adatto per «sviluppare gli anticorpi» contro questa forma di egoismo. In effetti pensai che in questi tempi in cui siamo tenuti a «tenere le distanze dal prossimo» per esigenze sanitarie l’università può davvero aprire la mente alla realtà e alla diversità. Per la prima volta realizzai che quello era davvero un luogo dove far fruttare le proprie capacità e metterle a disposizione di tutti, poiché l’università prepara i ragazzi ad essere i lavoratori ed i professionisti di domani, oltre che membri attivi della società del futuro.

La conversazione si fece molto piacevole e continuammo a discorrere per parecchio tempo. Ad un certo punto Maria intervenne chiarendo che ciò che l’aveva colpita maggiormente di tutta la cerimonia erano state le parole della Presidente della Commissione europea, ritenute da lei cariche di un messaggio di speranza diretto ai giovani. In particolare, le erano piaciute molto le parole di apprezzamento della sig.ra von der Leyen, che aveva definito la sua generazione come portatrice di idee ed energie nuove. Secondo la Presidente, il futuro dell’Europa era stato lasciato in buone mani. Anna aggiunse che l’Europa dovrebbe essere al servizio dei giovani e che per fare ciò è necessario che sia in grado di ascoltarli: per questo motivo la Presidente ha annunciato di aver proposto di proclamare il 2022 come “Anno europeo dei giovani” con l’intento di valorizzarli e ascoltare le loro proposte.

A quel punto il treno era quasi giunto a Brescia e, proprio mentre ero sul punto di congedarmi dalle ragazze e scendere, Maria si rivolse alla sua amica. «Speriamo di poter tornare qui in Italia dopo il Natale» disse lei. «Temo che non sarà facile, considerato che ormai la situazione a casa è un disastro. Dobbiamo aiutare i nostri genitori» replicò l’altra. Mi fermai immediatamente e, mosso dalla curiosità, domandai qual era il motivo di tale preoccupazione. Le due ragazze mi spiegarono che provenivano dalla regione ucraina del Donbas, vicina al confine con la Russia, e che si trovavano in Italia per il programma di studio all’estero chiamato “Erasmus”. Purtroppo, però, in quegli ultimi mesi le tensioni tra la Russia e l’Ucraina si erano accentuate, anche perché il presidente russo Putin rivendicava l’appartenenza del Donbass (e in generale di tutto il territorio ucraino) alla Russia: per questo motivo c’erano state numerose controversie di carattere politico ed erano persino scoppiate alcune lotte e rivolte armate nei pressi della casa delle due sorelle. Era ovvio che se fosse scoppiata una guerra il loro programma di studio sarebbe terminato e la loro vita (compresa quella dei loro parenti, concittadini e connazionali) sarebbe drasticamente mutata. Compresi allora la tragica situazione in cui si trovavano e provai a rincuorarle ragionando con loro su tutti i discorsi che avevano ascoltato quel giorno: l’obiettivo delle vecchie generazioni rimane infatti quello di istruire e acculturare i giovani, cosicché in futuro guerre, povertà, distruzione e problematiche che oggi affliggono la società possano essere finalmente risolte. «Ricordate che oggi avete appreso che lo studio e la cultura trionferanno sull’ignoranza della guerra» continuavo a ripetere.

Improvvisamente mi accorsi che il treno si era fermato, così salutai in fretta le ragazze e scesi dal treno, con la speranza che le mie parole, anche se forse in un futuro lontano, si sarebbero avverate.


D. Gregorini


124 views0 comments
bottom of page