I funerali di Napoleone
«Tutto ei provò: la gloria
Maggior dopo il periglio,
La fuga e la vittoria,
La reggia e il tristo esiglio:
Due volte nella polvere,
Due volte sull’altar.»
— A. Manzoni, Il cinque maggio
Napoleone Bonaparte fu senz'altro uno dei personaggi più divisivi della storia di Francia e d'Europa. La parabola del generale rivoluzionario che divenne imperatore, fu costretto ad abdicare e portato in esilio all'Isola d'Elba, dalla quale riuscì ad evadere e a ritornare a dominare la Francia nei suoi Cento giorni, per poi trovare la definitiva sconfitta nel campo di Waterloo nelle Fiandre, venne resa perfettamente dal Manzoni nella sua poesia Il cinque maggio. L'autore, pur riconoscendo l'originaria volontà di portare gli ideali della Rivoluzione francese in tutta Europa, scrisse questo inno sostanzialmente in chiave antiaustriaca al fine di contrapporre gli ideali della Rivoluzione — libertà, uguaglianza, fratellanza — all'oscurantismo uscito dalla Restaurazione voluta dal Congresso di Vienna del 1815.
I francesi e i rivoluzionari dei moti del 1821 e del 1848 dissero che Napoleone, nelle sue campagne di conquista in Europa, non si preoccupava di sconfiggere e sottomettere i popoli, bensì di portare nel mondo la civilizzazione francese, l'ordine razionalista francese, l'idealismo francese.
Addirittura concedeva a questi popoli sconfitti di partecipare al fianco delle armate napoleoniche alle guerre francesi, nelle quali si arruolavano molti giovani di varie nazionalità. Il poeta tedesco Goethe non si dispiacque quando le armate napoleoniche a Jena sconfissero l'esercito prussiano. Beethoven dedicò al generale francese la sua Sinfonia n. 3 (Eroica), convinto che la guerra contro l'Ancien Régime non fosse un'invasione bensì una liberazione dall'assolutismo. Tuttavia il grande compositore giudicò il gesto di Napoleone di auto proclamarsi Imperatore, nel 1804, un tradimento di quegli stessi ideali della Rivoluzione francese che Napoleone aveva giurato di difendere.
Lo scontro tra Napoleone e la Gran Bretagna ebbe basi anzitutto economiche: Napoleone volle invadere l'Egitto per tagliare la via dell'India all'Inghilterra e per dominare sul Mediterraneo e l'Inghilterra, nazione di bottegai, come ebbe egli stesso a definirla, non poteva tollerare nessuna minaccia ai suoi favolosi profitti. La propaganda inglese, che dipingeva Napoleone come un tiranno liberticida non ebbe più freni dopo l'incoronazione ad Imperatore. Gli inglesi ancor più degli Asburgo vollero vendicarsi contro Napoleone, per il tentativo di invadere la loro isola.
L'esilio a Sant'Elena, un'isola sperduta in mezzo all'Oceano Atlantico, lontano dalle rotte navali principali, non piegarono l'animo dell'Imperatore , che manteneva intatta la sua fierezza. Nel suo testamento l'Imperatore accusa della sua morte prematura, avvenuta a cinquantun anni, l'Inghilterra, in particolare l'oligarchia inglese.
Sepolto a Sant'Elena dagli inglesi, l'Imperatore tornò in patria solo nel 1840. La dinastia dei Borbone, che era stata rimessa sul trono di Francia dalla Coalizione austriaca, prussiana e russa, fu costretta ad abdicare. Salì al trono, nel 1830, non più come Re di Francia ma come Re dei Francesi, asserendo così il concetto di popolo sovrano-nazione, Luigi Filippo d'Orleans. La statua dell'Imperatore venne rimessa sulla colonna di Place Véndôme a Parigi e venne richiesto il rientro in patria delle sue spoglie mortali.
Questo secondo funerale fortemente simbolico venne programmato per porre fine al conflitto, e possibilmente, per sancire la riconciliazione, tra i realisti monarchici filoborbonici e gli Imperiali, che costituivano quella parte della società, anche di nobili origini, che si era schierata con Napoleone.
Dopo un lungo viaggio attraverso l'Oceano la salma dell'Imperatore, scortato dal Principe di Joinville, figlio cadetto del re, arrivò sulle coste francesi e il feretro venne trasportato per via fluviale lungo la Senna, fino a Parigi.
Lungo il tragitto folle di persone si radunavano al passaggio dell'Imperatore, che tornava in patria. Sulle chiatte e lungo la via, a cavallo, lo accompagnavano i marescialli della Guardia imperiale, gli ussari e i granatieri che più di trent'anni prima avevano combattuto a Marengo, Austerlitz, Beresina. I veterani che lo avevano seguito nei Cento giorni, invecchiati nel fisico, si sentivano tornati giovani nello spirito e nel ricordo della grandezza dell'Imperatore, dei rulli di tamburi, della Marsigliese cantata in battaglia a squarciagola, delle cariche di cavalleria al grido «honneur et patrie».
Soprattutto gli ussari suscitarono l'entusiasmo delle folle, con la loro uniforme composta di pantaloni rossi aderenti coperti da una sopravveste bianca bordata di nastri d'oro, e di una dolman azzurra, una giacca corta e attillata guarnita con alamari dorati. Il tutto reso marziale dalla spada al fianco e da un voluminoso colbacco a fiamma. Dei tanti soldati reduci dalle campagne condotte fino allo stremo delle forze, alcuni fra loro mutilati che marciavano sui loro arti di legno, colpiva la fierezza e la dolce mestizia che si leggeva sui visi prematuramente invecchiati. Per nulla al mondo avrebbero perso la possibilità di seguire ancora una volta l'Imperatore.
Il feretro era coperto da un drappo violetto con ricamate le api d'oro che coprivano anche il mantello dell'incoronazione di Napoleone, e non a caso, dato che api d'oro furono scoperte a Tournai nella tomba di Childerico, fondatore della dinastia merovingia, e da allora erano considerate il più antico emblema della sovranità francese. Indubbiamente, il piccolo caporale còrso era riuscito a conquistare la gloria grazie alle brillanti campagne militari e alle strepitose vittorie che avevano portato l'Europa intera a sottomettersi alla Francia, nel primo decennio dell’Ottocento. Accanto alla gloria, tutto il mondo ne aveva conosciuto la grandezza, la grandeur che aveva cambiato l'idea stessa di popolo e di nazione.
Testimone dei funerali di Napoleone tenutisi a Parigi il 15 dicembre 1840 fu lo scrittore Victor Hugo, che racconta di tutti i parigini riversati per le strade che dagli Champs Elysées portavano alla Chiesa della Piazza degli Invalidi per passaggio del feretro. Attorno alla piazza erano state erette delle tribune per gli spettatori e lungo il viale erano state poste finte colonne, statue dell'Imperatore e dei suoi più fedeli generali. Nella fredda mattina di dicembre si appressavano nel Viale i gendarmi, le bande militari e legioni interminabili di guardie nazionali,a piedi e a cavallo.
Apparve infine, in un cielo luminoso spazzato dal sole di mezzogiorno, il carro funebre, attorniato dai marescialli di Francia che reggevano il cordone del baldacchino imperiale: il Conte Oudenot, il Conte Molitor, il barone Duperré e l'anziano e venerabile Conte Bértrand. Il carro era tirato da sedici cavalli impennacchiati coperti da drappi dorati; colpi di cannone accompagnarono il carro nel Cortile degli Invalides.
Il principe di Joinville disse al re: «Maestà, vi presento il corpo dell'Imperatore Napoleone». Luigi Filippo rispose: «Io lo ricevo a nome della Francia». Quindi il maresciallo Bernard e il genere Gourgaud furono incaricati di porre sulla bara la spada e il copricapo che l'Imperatore aveva portato con sé nell'esilio di Sant'Elena, simboli stessi del grande uomo.
Hugo racconta che quell'immagine del feretro su un tavolo, nella Cappella di San Girolamo in cui era stato provvisoriamente collocato, rischiarata dalla luce delle lampade funebri sotto un'aquila imperiale ad ali spiegate, il cappello e la spada, e uno scudo argenteo con iscritti i nomi delle sue più grandi vittorie, Wagram e Austerlitz, con intorno al muro balze di velluto violetto ornate di api d'oro e di aquile gli rimase impressa nella memoria tutta la vita. Un'emozione indescrivibile serpeggiava in tutta la capitale e il pellegrinaggio alla tomba dell'Imperatore continuò per molto tempo.
Oggi i resti di Napoleone riposano in una cripta della chiesa in un magnifico sarcofago di porfido rosso posto esattamente sotto la cupola dorata. L'accesso avviene da una balaustra: chi vuole vedere l'Imperatore è ancora costretto a inchinarsi al suo cospetto.
G. Bracconi, R. Gambarini
Bibliografia
A. Manzoni, Il cinque maggio, 1821.
V. Hugo, I funerali di Napoleone.
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