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Santorre di Santarosa e Lord Byron: due intellettuali a confronto nella guerra di indipendenza greca

La guerra del popolo greco contro l’Impero ottomano colpì l’immaginario degli intellettuali europei del primo Ottocento. Le tematiche dello scontro tra Occidente cristiano e Oriente musulmano, la cultura classica comune a studiosi e poeti, l’eco delle guerre greco-persiane si mescolavano al desiderio rinnovato della libertà dei popoli che si ribellavano all’assolutismo dei sovrani europei nei moti rivoluzionari del 1821. L’insurrezione greca divampò in tutta la penisola, nelle isole e nelle fasce costiere dell’Asia minore, popolate da una maggioranza greca. Molti dei giovani aristocratici europei che avevano visitato la Grecia nel Grand Tour decisero di passare all’azione e combattere per l’ideale della libertà dei popoli e delle nazioni, un ideale che avrebbe sedotto molte generazioni negli anni a venire, divise tra lo slancio generoso degli idealisti e la deriva feroce dei nazionalisti, passando dalla guerra di Spagna fino ai massacri dei Balcani di fine Novecento.


Lord George Gordon Byron nei suoi anni dei viaggi attraverso il continente europeo approdò in Grecia e in Albania, dove venne a contatto con il mondo classico e con alcuni patrioti greci. Visse tra Atene e Costantinopoli componendo alcuni lavori ispirati ai suoi viaggi. Quando le sue turbolente avventure sentimentali e gli scandali che ne conseguirono suscitarono la riprovazione dell’alta società inglese, Lord Byron decise di lasciare l’Inghilterra per sempre, in un esilio volontario, accusando la sua nazione di aver avuto una pesante responsabilità nella restaurazione della tirannia che opprimeva l’Europa dopo la caduta di Napoleone. Nel 1823 la lotta dei greci che combattevano i turchi per riconquistare la loro libertà lo coinvolse al punto da partire con alcuni connazionali, avendo aderito alla causa filoellenica. Il suo animo rivoluzionario lo aveva portato a opporsi fieramente alla Santa Alleanza e ad aderire in Italia alla causa della Carboneria. La libertà della Grecia era un obiettivo reale e alla sua portata. il 4 gennaio 1824 egli raggiunse Missolungi, nel Golfo di Patrasso, da lungo tempo roccaforte degli insorti, posta sotto assedio dall’esercito ottomano, e venne accolto entusiasticamente dalla popolazione. Non ci è giunta notizia di una sua attiva partecipazione alla resistenza ellenica: probabilmente aveva in progetto di scrivere dei messaggi da divulgare all’estero a sostegno della causa, ma non riuscì a lasciarne traccia; poco dopo il suo arrivo, nell’aprile del 1824, morì di febbre all’età di trentasei anni. Oggi lo ricordiamo come un intellettuale privilegiato, ozioso e dissoluto, attualmente più noto per gli scandali a sfondo piccante che per la rilevanza delle sue opere, che sembrano restare circoscritte alla loro epoca, come esempi dell’idea romantica del titanismo eroico, in cui l’uomo si ribella alla società gretta e priva di ideali in cui vive, eroe melanconico incapace di sopportare il peso delle convenzioni sociali. Al giorno d’oggi potremmo trovare in Lord Byron un mix, tra un punk ribelle anarchico come Johnny Rotten dei Sex Pistols e un poeta libertino come Jim Morrison, ma è più la sua immagine di dandy a perdurare nel tempo che le sue opere o il suo attivismo politico.


Al contrario nelle colline del Cuneese nasceva nel 1783 il patriota rivoluzionario Santorre di Santarosa. Di nobili origini partecipò al Risorgimento italiano e alla guerra di indipendenza greca. Fu avviato da giovanissimo, appena tredicenne, alla carriera militare nella Regia armata sabauda, nel corpo dei granatieri reali, e prese parte alla battaglia di Mondovì contro le armate napoleoniche. Durante l’occupazione francese della Savoia e del Piemonte si dedicò alla politica, diventando sindaco del natio comune di Savigliano e dopo la restaurazione sabauda rientrò nell’esercito regio. Le sue idee politiche erano vicine alla Carboneria, di cui divenne membro, e cominciò a coltivare l’idea che il re sabaudo dovesse guidare un esercito italiano alla liberazione della penisola. Cercò di contribuire alla causa della Carboneria contro l’assolutismo il principe ereditario Carlo Alberto di Savoia e guidò i patrioti piemontesi all’insurrezione. Il sovrano abdicò e il reggente temporaneo Carlo Alberto concesse ai sudditi la Costituzione e nominò Santorre di Santarosa ministro della guerra. La fine della rivolta costrinse Santarosa all’esilio, dapprima a Ginevra in Svizzera e quindi a Parigi e Londra, incalzato dalle richieste del governo sabaudo che ne reclamava l’estradizione. Furono anni di povertà per Santarosa che conobbe altri fuoriusciti, Ugo Foscolo in primis, perseguitato dagli austriaci. Egli non riceveva aiuti dalla famiglia né dai conoscenti inglesi e non riusciva a impiegarsi in un lavoro stabile. L’ideale della libertà dei popoli ancora lo dominava: esaurita la fiamma della rivolta in Europa egli volse lo sguardo alla piccola Grecia, che si opponeva all’Impero ottomano come Davide a Golia. Riuscì ad approdare in Grecia nel novembre del 1824, ma la sua reputazione di agitatore politico lo aveva preceduto e non trovò alcun sostegno dai notabili del luogo ma tuttavia volle entrare in azione: partecipò alle battaglie di Patrasso e di Navarino in difesa della popolazione assediata. Il conte di Santarosa resistette fino all’ultimo tra gli insorti contro l’impeto delle truppe egiziane e ottomane e morì in battaglia. Oggi un piccolo monumento sull’isola ricorda il suo sacrificio per la causa della libertà greca.


Le grandi potenze occidentali, Francia, Inghilterra e Russia, si schierarono a fianco della lotta filoellenica solo quando la visione idealistica e patriottica dei primi anni cedette il passo a una visione pragmatica di conquista dei Balcani che avrebbe portato a un forte ridimensionamento dell’Impero ottomano, a nuovi sbocchi per l’Inghilterra e la Francia sul Mar Nero e all’apertura del Mediterraneo alla Russia che avrebbe voluto ottenere la supremazia nei Balcani, spalleggiando la Serbia e impedendo all’Austria-Ungheria di espandersi ulteriormente verso lo stretto dei Dardanelli.

Nell’ambito della questione balcanica, che nasce in questo periodo e in preparazione alla guerra di Crimea, l’indipendenza del piccolo stato greco poteva servire a posizionare l’influenza delle potenze occidentali in un’area che da secoli era in mano al popolo turco e che in qualche modo complicava l’espansione coloniale a oriente. La grande battaglia navale di Navarino nel 1827 sgominò l’armata navale ottomana e nel 1828-1829 scoppiò la guerra tra Russia e Turchia dopo che questa aveva interdetto lo stretto dei Dardanelli alle navi russe. L’ultima battaglia per l’indipendenza greca fu il 12 settembre 1829 a Petra e si concluse con la vittoria dei greci e la firma del trattato di Adrianopoli, nel quale l’Impero ottomano e la Russia concordarono l’autonomia della Grecia. La Grecia conquistò l’indipendenza nel 1830, il 3 febbraio, dopo la firma del Protocollo di Londra. Anche se alcune parti della Grecia continentale, come la Macedonia la Tessaglia erano ancora sotto il controllo ottomano la nazione greca si rinsaldò, sia pure sotto la guida di un re straniero Ottone di Baviera, eletto re di Grecia nel 1832.


G. Bracconi

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