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La Casa: una famiglia senza legami di sangue

La Casa italiana e le sue origini

La lingua italiana è frutto dell’unione di due lingue antiche: greco e latino. Queste hanno plasmato il nostro lessico, sono parte delle parole che quotidianamente utilizziamo per esprimerci, per mediare i nostri pensieri. Ogni singolo termine ha un’origine, una storia, ha subìto cambiamenti che l’hanno reso come oggi lo conosciamo. Così, anche la parola casa, ricca di innumerevoli sfaccettature e interpretazioni personali, nasconde un etimo interessante. Nella lingua latina, il termine casa indica strettamente l’abitazione fisica: è una capanna con il tetto in paglia. La Casa greca viene definita invece dal termine òikos, che, a differenza dell’origine latina, designa principalmente il nucleo familiare e il suo valore economico. All’interno dell’òikos ognuno ha il proprio compito: gli uomini lavorano i campi e le donne gestiscono la casa. Può essere dunque paragonato ad una piccola fabbrica, dove a governare è il maschio più anziano.


Attualmente gli italiani, e soprattutto la popolazione giovanile, si sentono maggiormente a Casa quando si trovano fuori casa, per esempio trascorrendo del tempo nel loro bar preferito. D’altro canto, però, l’Italia è famosa in tutto il mondo per ospitare una popolazione molto legata alla famiglia e alle tradizioni, quindi alla propria Casa dal punto di vista delle radici. Oggi gli italiani considerano la famiglia prima di tutto, persino prima della salute. La Casa viene quindi vista non solo come un rifugio, un luogo sicuro, ma anche come un luogo da proteggere e del quale prendersi cura.


La Casa in uno stato occupato: la Cecoslovacchia

Dopo la Seconda guerra mondiale, la Cecoslovacchia viene conquistata dall’Armata Rossa, diventando una repubblica comunista. Sotto il pressante controllo da parte dell'Unione Sovietica, i cittadini assistono a una nazionalizzazione totale della proprietà privata, che a causa della situazione economica pregressa porta a una crisi. La povertà dilaga, e le riforme del periodo della Primavera di Praga, guidate da Dubček, porteranno solo all’occupazione del Paese da parte dell’Armata Rossa, che rimarrà al suo interno fino alla caduta del Muro di Berlino.


Dana Jirankova, nata in Cecoslovacchia nel 1952, all’età di 15 anni vede con i suoi occhi l’invasione da parte delle Armate Rosse degli stati del Patto di Varsavia. Innamorata di un italiano che diventerà suo marito, deciderà di lasciare il suo Paese d’origine, gettandosi nel buio verso un luogo che non aveva mai visto. Ecco la sua testimonianza in merito a cosa significhi Casa in un salto nel vuoto verso un lido nuovo.


In Cecoslovacchia gli appartamenti appartenevano allo Stato, e la proprietà privata non esisteva, per cui ogni casa venne nazionalizzata, e tutto fu ridistribuito alla popolazione. Ogni abitazione occupava uno spazio ristrettissimo, il bagno consisteva solamente in uno stanzino con il gabinetto, e gli abitanti non potevano fare altro che lavarsi le singole parti del corpo separatamente, non potendo usufruire di una doccia. La donna era “appartenente” al marito, anche dal punto di vista grammaticale: infatti, per comporre il cognome femminile, il suffisso -ová veniva apposto alla fine di quello maschile per simboleggiare l’appartenenza della donna al marito. Anche oggi c'è una grande protesta per eliminare questa convenzione ancora presente. Tra due fronti d’odio, alimentato dalla propaganda come un fuoco assassino, Dana lasciava il suo Paese, affidandosi solamente a suo marito Paolo, unico faro in una nebbia fitta di una nazione sconosciuta. Nonostante le grandi differenze di qualità di vita, la Casa per lei non è un’abitazione, ma è creata da chi le sta vicino.


La Casa è sempre quel posto dove scappare se piove, se fa freddo o caldo, per stare da solo, per stare in compagnia; può essere piccola, grande, come ce la si può permettere, purché ci si stia bene. Questa è la Casa.
— D. Jirankova

Quasi a casa

Quasi a casa è un libro di Elena Moretti, che racconta la storia di Adrian, ragazzo senzatetto affidato a una casa famiglia in una malga. Tra paesaggi montani e piccoli paesini, il protagonista incontra gli altri giovani affidati alla sua nuova abitazione e impara a conoscere le loro storie, scoprire nuovi punti di vista e crescere come persona, tra emozioni nuove e persone diverse, unite da situazioni tragicamente differenti. Un ragazzo abituato a vivere per strada scoprirà per la prima volta cosa vuol dire trovarsi a Casa.


Adrian ha diciassette anni e non ha mai conosciuto il padre. La madre, invece, è ricoverata in un ospedale psichiatrico da quando il ragazzo aveva cinque anni. Il protagonista non ha mai avuto la possibilità di conoscere i suoi genitori e per questo è stato affidato a diverse case famiglia, ma è riuscito a fuggire da ciascuna di esse: la sua vera famiglia gli era stata tolta con prepotenza e tra quegli sconosciuti non riusciva a sentirsi se stesso. Così inizia a vivere per la strada, sotto i ponti, finché viene ritrovato dagli assistenti sociali e affidato a una nuova famiglia. Adrian non conosce il concetto di Casa, non ha mai avuto la possibilità di provarlo sulla sua pelle. Eppure, in una malga sperduta tra le montagne della Valtellina, circondato da ragazzi “rotti” come lui, riuscirà a ritrovare se stesso. Capirà che la famiglia di ciascuno di noi non è solo quella biologica, non è originata dai legami di sangue, bensì è l’insieme delle persone che ci fanno sentire protetti, a Casa.


Il piccolo principe: amare significa addomesticare


È il tempo che hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante.
— A. de Saint-Exupéry, Il piccolo principe

Il piccolo principe è un racconto datato 1943 e composto dallo scrittore e militare francese Antoine de Saint-Exupéry. Narra inizialmente di un aviatore atterrato, a causa di un’avaria, nel deserto africano del Sahara, e del suo incontro con il piccolo principe, un «ometto dell’aria straordinariamente distinta» e i capelli color del grano. In seguito viene proposto un lungo flashback, all’interno del quale il principino racconta la sua storia, tra rose, baobab e asteroidi. Vorremmo soffermarci in particolare su due vicende del protagonista e riconducibili al concetto di Casa, ovvero la convivenza con la rosa e l’incontro con la volpe. Il flashback si apre per mezzo del racconto del piccolo principe circa la suddetta rosa. Il protagonista assiste allo sbocciare del fiore e con cura lo innaffia, lo protegge dal vento e dagli attacchi delle tigri, pur se di tigri sull'asteroide non ce ne fossero. Il piccolo principe ama la rosa, anche quando questa non assume atteggiamenti particolarmente affettuosi e dolci nei confronti dell’ometto. Il principino la addomestica e fa di lei la sua famiglia, la sua Casa. In seguito, quando incontra la volpe, il concetto di addomesticare, “creare dei legami” e, di conseguenza, costruire idealmente la propria Casa, viene approfondito per mezzo di riflessioni profonde. «Il tempo che hai perso per la tua rosa è ciò che fa la tua rosa tanto importante», afferma la volpe, e ancora: «Gli uomini hanno dimenticato questa verità, ma tu non devi dimenticarla. Diventi responsabile per sempre di ciò che hai addomesticato». Questo ci ricorda che creando dei legami, ciascuno di noi dovrà prendersene cura: creare la propria Casa comporta anche proteggerla e accettare le responsabilità che ne derivano.


La Casa di Pascoli


Ritornava una rondine al tetto: l’uccisero: cadde tra spini: ella aveva nel becco un insetto: la cena de’ suoi rondinini.
— G. Pascoli, X Agosto

Giovanni Pascoli nel 1896 scrive la lirica intitolata X Agosto, nella quale spicca il tema simbolico del nido. Il poeta, da bambino, fu ferito dalla morte del padre, ucciso mentre tornava a casa. Pascoli spiega la sua visione con un’affascinante inversione metaforica: a una rondine viene attribuito il tetto, mentre all’uomo si riferisce il nido. Entrambi troveranno la morte fuori da casa, luogo percepito come protetto, nel quale rinchiudersi per sfuggire dal male che sta fuori, dalle ingiustizie del mondo. Il trauma del poeta farà sviluppare in lui una relazione strettissima nei confronti degli affetti familiari rimasti, in particolare verso le sorelle, tanto da fargli percepire il matrimonio di una di loro come un grave tradimento. La sua idea di Casa è l’idealizzazione della sicurezza trovata esclusivamente nel nucleo familiare, un luogo caldo, protetto, pervaso di affetto.


L’idea pascoliana è personale, dovuta alla sua esperienza, ma all’affetto dei cari si contrappone chi subisce il nucleo familiare come una condanna…


Il fu Mattia Pascal


Ah, che vuol dir morire! Nessuno, nessuno si ricordava più di me, come se non fossi mai esistito… Folle! Come mi ero illuso che potesse vivere un tronco reciso dalle sue radici?
— L. Pirandello, Il fu Mattia Pascal

Il fu Mattia Pascal, romanzo ciclico di Luigi Pirandello, affronta il problema dell’identità personale. Il protagonista, Mattia Pascal, soffre una vita ormai insostenibile: una moglie non amata, una suocera con cui non ha un rapporto idilliaco e la morte della madre, nonché di entrambe le sue figlie gemelle sono alcune delle ragioni che concorrono a determinare la sua sofferenza. Addolorato, pensa addirittura al suicidio prima di fuggire per imbarcarsi verso l’America. Dopo un’ingente vincita a Montecarlo, leggerà sul giornale la notizia del ritrovamento di un cadavere, identificato dalla moglie come il suo. Decide allora di cambiare vita, di costruirsi una nuova identità, e di cercare un nuovo luogo da chiamare Casa. Stabilitosi a Roma, sboccia l’amore con Adriana, figlia del proprietario della pensione nella quale alloggia. La mancanza di un'identità anagrafica si rivelerà un problema insormontabile nella vita dell’uomo, che non può né sposare l’amata, né denunciare l’insidioso cognato della donna, che gli ha rubato del denaro. Deciderà così di morire una seconda volta, abbandonando la nuova Casa, e tentando di ritornare alle sue radici, che gli riserveranno un’accoglienza fredda e inospitale, in un luogo completamente diverso da quello che aveva lasciato.

Il fu Mattia Pascal mette in luce la differenza tra la Casa e le radici. Le radici di una persona sono il luogo dove è nato, il suo passato. La Casa è il luogo nel quale ci si sente al sicuro, dove si vuole ritornare. Per Pascoli questi due elementi erano una cosa sola, mentre Mattia Pascal lascerà le sue radici per trovare una nuova Casa.


Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti.
— L. Pirandello, Uno, nessuno e centomila

Il concetto di forma, fondamentale nella letteratura pirandelliana, spiega come la vita imponga a ciascuno una maschera in base alla situazione nella quale si trova; sono pochi i volti che si potranno incontrare. Poiché per l’autore la famiglia non è altro che una delle “trappole” di cui l'uomo è prigioniero, sorge spontaneo chiedersi quali siano i veri visi.

Se non sono ritrovabili nelle radici, si potrebbe pensare che risiedano nella Casa di ognuno, ma anche questa volta potrebbe non essere così, poiché anche questa può nascondere delle maschere. Ma ciò non deve spaventare, perché la Casa rimane un luogo sicuro, caldo e accogliente, e se una persona la sceglie, è perché si tratta del luogo nel quale ama stare.


Una famiglia adesso ce l'ho anch'io. Scalcinata. Senza legami di parentela. Però fichissima.

— E. Moretti, Quasi a casa

Riflessione di Emma Miglio

All’interno di Quasi a casa, il protagonista Adrian cerca di “trovare il suo posto nel mondo”, come spesso accade a noi adolescenti. Cerca di crearsi una famiglia dopo che quella biologica gli era stata sottratta con violenza. Questo porta il lettore a domandarsi cosa per lui significhi Casa, poiché indubbiamente nel romanzo questa non ha nulla a che vedere con l’omonimo edificio. Forse Casa è la famiglia; forse, invece, Casa è una persona, magari persino sconosciuta. Forse Casa è indossare il pigiama dopo una giornata trascorsa in giacca e cravatta; forse Casa è affondare in un abbraccio morbido e sentirsi protetti, al sicuro. Forse Casa è rendersi conto di essere capiti, anche senza dire una parola. Forse Casa è proprio questo. O forse la nostra Casa siamo noi stessi. Siamo noi perché la nostra mente, i nostri pensieri, la nostra anima sono l’unico luogo in cui ci sentiamo a nostro agio. O forse, invece, questo non è che un passaggio per capire che la nostra anima non deve essere un monolocale, bensì un multilocale dove possiamo lasciar vivere chi ci fa sentire a nostro agio. Chi ci fa sentire a Casa.


Riflessione di Alessandro Pasini

In Quasi a casa Adrian compie un viaggio all’esterno e all’interno di se stesso, alla ricerca di un luogo dove stare. La Casa è l’obiettivo, ciò che inizialmente non pensava nemmeno fosse possibile, ma che nel tempo diviene incredibilmente reale. Personalmente, appartengo già a una Casa. È formata dalle poche persone alle quali tengo di più, le uniche con le quali mi sento davvero libero. La mia famiglia, i miei amici più cari, e non solo. In questo momento sto vivendo i miei ultimi mesi in questa scuola. Questi anni mi hanno lasciato ricordi agrodolci, ma con quella nota di piacevole gusto che si è sempre pronti ad assaggiare un’altra volta, con un nostalgico appetito insaziabile. Non lascio solo la scuola, lascio anche questa nazione, ma soprattutto lascio la mia Casa. La malinconia è l’emozione che meglio può rappresentare la mia situazione. È un sentimento che mi sta a cuore, di natura riflessiva, e con una doppia identità, ancora una volta agrodolce. La bellezza della malinconia risiede nel piacere di una triste riflessione contemplativa, con un leggero tocco di dolcezza. Non c’è nulla a cui tenga di più di quanto tenga alla mia Casa, ma la terra continua a ruotare, e a volte si deve andare avanti pur avendo amato quel che rimane alle nostre spalle.

Ogni vita è come una tela bianca, inizialmente ancora da dipingere. I pittori siamo noi, ma non siamo soli, bensì accompagnati da tante mani invisibili, impossibili da controllare, mentre disegnano quello che vogliono. Invece i colori che usiamo sono sempre gli stessi. L’uomo è limitato alle sfumature che è in grado di percepire, e così gli elementi che andranno a creare la sua vita saranno sempre gli stessi, solo miscelati e ricomposti. Potrà essere un ritratto, un quadro astratto, uno schizzo cubista, o semplicemente una buffa serie di silenziosi scarabocchi. In questa tela, sempre unica e in continua evoluzione, ognuno trova un porto sicuro in una diversa sfumatura. Personale. Profonda. Al profumo di Casa.

Trovate e amate la vostra Casa, siatene orgogliosi, proteggetela, abbracciatela come se fosse un nido da curare. Ma non abbiate paura di abbandonarla per volare in alto, nel limpido azzurro cielo, planare tra le nubi, avvistare la terra, raccogliere la cena dei propri rondinini, tornando a prendersi cura di quel luogo che a volte non è un luogo. Di quelle persone che a volte non sono persone. Di ciò che può essere definito soltanto con l’accogliente parola Casa.


E. Miglio (1ª C), A. Pasini (4ª A)

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