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La riforma che acceca gli italiani

Nei discorsi di fine anno delle massime autorità dello Stato ci sono diversi spunti per interessanti riflessioni. Tra gli altri, vorrei soffermarmi sulla possibile riforma istituzionale legata al cosiddetto presidenzialismo, incluso tra le priorità dalla premier Giorgia Meloni, e per il quale il ministro delle Riforme Elisabetta Alberti Casellati sta già incontrando le diverse forze politiche. È una riforma che stravolgerebbe un pezzo importante della nostra Costituzione, che deve essere la nostra «bussola», come l’ha definita il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella nel suo discorso di fine anno. Mattarella ha auspicato una «comune visione del sistema democratico, sul rispetto delle regole, che non possono essere disattese, e sul ruolo di ciascuno», elogiando così sia il nostro assetto istituzionale che, appunto, la nostra Costituzione. Per arrivare all’elezione diretta del capo dello Stato, come vorrebbe la Meloni, la Costituzione va cambiata. Per questo tipo di cambiamento servono due deliberazioni da entrambe le Camere, a distanza di almeno tre mesi. Le camere devono approvare la legge nella seconda votazione con una maggioranza dei due terzi. Se la legge fosse approvata solo con la maggioranza assoluta, potrebbe essere sottoposta a referendum popolare da parte di un quinto dei membri di una Camera, o da cinquecentomila elettori o da cinque consigli regionali, ma tutto entro tre mesi dalla pubblicazione della legge stessa. Attenzione, però, perché per questo tipo di referendum non è previsto un quorum e se nessuno indisse l’apposito referendum entro i tre mesi, la legge, anche se approvata con la sola maggioranza assoluta, verrebbe promulgata dal Capo dello Stato. Se Meloni pare preferirebbe un modello tedesco, con un cancelliere, o statunitense, che è un presidenzialismo vero e proprio, ella stessa propone un modello simile a quello francese, perché sembra che su questo ci sarebbe maggiore convergenza delle varie forze politiche, opposizione comprese che già in passato l’avevano proposto, ma tutto cadde nel vuoto.



Giorgia Meloni che stringe la mano col presidente francese Emmanuel Macron.


Si tratta quindi del cosiddetto semipresidenzialismo in cui il potere è condiviso tra il Presidente, eletto dai cittadini, e il Primo ministro. Del resto, nell’Unione Europea, a parte Cipro, non esiste uno stato presidenziale come sono gli Stati Uniti o alcuni paesi sudamericani o la Corea del Sud. Troviamo invece il semipresidenzialismo in Francia, Portogallo, Lituania, Polonia, Romania. Ma come funziona, per quanto riguarda la presidenza, il tanto declamato modello francese? Il Presidente della Repubblica viene eletto a suffragio universale diretto — quindi dal popolo — a doppio turno. Per essere eletti al primo turno serve la maggioranza assoluta dei voti, difficile da ottenere, perciò vanno al ballottaggio i due candidati che al primo turno hanno ricevuto il maggior numero di consensi; un po’ come avviene da noi per l’elezione di un sindaco. Il doppio turno francese è molto importante, perché dà molto potere agli elettori che possono scegliere il candidato preferito al primo turno, ma al secondo turno possono scegliere chi deve vincere, votando il candidato meno sgradito. Con questo sistema si assicura sempre la maggioranza assoluta al presidente eletto.


Se in Italia il Presidente della Repubblica è una figura imparziale eletta dal Parlamento, senza rappresentanza politica, in Francia, invece, ha funzioni esecutive, insieme al primo ministro, e detiene quindi un vero potere politico, specie nella politica estera. Ha alcuni poteri condivisi con il Governo: determinati atti devono essere controfirmati dal primo ministro e, all’occorrenza, dai ministri responsabili. Tra i vari poteri condivisi troviamo: la nomina e la revoca dei ministri — del Governo, quindi — su proposta del primo ministro; la promulgazione di leggi deliberate dal Consiglio dei ministri; la negoziazione e ratifica di trattati internazionali. Ma il Presidente della Repubblica francese è anche a capo della diplomazia e delle forze armate; presiede il Consiglio superiore della difesa e il Consiglio superiore della magistratura e, importantissimo, è il Presidente a nominare il primo ministro. Tra i poteri esclusivi del presidente, che presiede anche il Consiglio dei ministri, vorrei sottolineare il diritto di sciogliere l’Assemblea nazionale (il Parlamento) e la nomina di tre membri e del presidente del Consiglio costituzionale. Estremamente importante è che in caso di emergenza nazionale il Presidente assume pieni poteri e può legiferare per decreto, anche se prima deve essersi confrontato con il primo ministro e il Presidente del Consiglio costituzionale — ricordo nominati dal Presidente — e i Presidenti delle assemblee. Quindi, diverrebbe un uomo solo o una donna sola al potere. I politici italiani sono convinti che questo darebbe stabilità al paese. In realtà, in Francia non sembra esserci grande stabilità. Nelle ultime elezioni francesi, il partito a sostegno di Macron, rieletto presidente, non ha ottenuto la maggioranza dei seggi, quindi il governo francese non ha la fiducia dell’Assemblea nazionale e per Macron significa il dover dialogare con le opposizioni ogni volta che vuol far passare una legge. Pochi mesi fa si è rischiata la crisi di governo, per il progetto della riforma sulle pensioni, e Macron ha minacciato lo scioglimento dell’Assemblea nazionale. La questione non è ancora chiusa e Macron si trova contro anche i sindacati per questa. Tornando in Italia, non si sa cosa ne sarebbe del Parlamento, qualora subentrasse il semipresidenzialismo: anche quello alla francese? Soprattutto nessuno ha ancora pensato a come il popolo potrebbe andare alle urne, ovvero con quale legge elettorale. Secondo molti, politici italiani compresi, quella in uso nel nostro paese è una delle leggi elettorali più complesse e inefficaci, quindi da rivedere, ma nessuno ne parla più.


G. Consolandi

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