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Linda Zangani

Libere di non esserlo: Masha Amini

Masha Amini era una normalissima ragazza iraniana di ventidue anni che si trovava a Teheran per una gita familiare, durante la giornata del 16 settembre. Come molte altre ragazze islamiche, Masha aveva deciso di indossare il suo hijab — velo tipico delle donne che praticano questa religione — in maniera meno tradizionale del solito, ovvero lasciando cadere fuori le due ciocche di capelli davanti. Questo però, secondo una legge del 1979, non è considerato un modo adeguato di indossare il velo e in quanto tale, trasgredisce le regole scritte ormai da tempo. La polizia ha deciso subito di intervenire proclamandosi come paladina della «giustizia morale», portando la ragazza al distretto per un’ora di «rieducazione morale». Qualche ora dopo Masha è stata ricoverata in ospedale: presentava numerosi lividi e traumi fisici, in particolare quello al cranio che si considera la causa della morte, anche se non ufficialmente. Le guardie che quel giorno hanno fermato la ragazza portandola in centrale affermano che il decesso sia stato causato da un infarto, negando totalmente le accuse contro di loro. I medici, complici in questo caso, non hanno permesso alla famiglia di assistere all’autopsia del corpo, aumentando notevolmente i sospetti nei confronti dell’accaduto. Questo caso infatti non è passato inosservato; gran parte delle donne, iraniane e non, da ogni parte del mondo, hanno dato vita a una manifestazione in suo onore per denunciare l’accaduto: si sono tagliate i capelli e hanno bruciato il loro velo e il Corano in segno di protesta, per rivendicare una morte totalmente ingiusta e per ribellarsi a una religione troppo conservatrice. I protestanti sono stati feriti, arrestati e addirittura uccisi dalle stesse guardie che hanno tolto la vita a Masha. Tutto il mondo condanna la dittatura iraniana e la morte ingiusta di questa ragazza, definendola inaccettabile, nella speranza di poterle dare giustizia.


Non tutti però cercano giustizia. I conservatori credono che le proteste e le modalità con cui sono state effettuate siano un oltraggio alla religione, un «andare contro il Corano» e quindi una grande mancanza di rispetto, una sorta di blasfemia. Ciò che mi chiedo è come sia possibile che qualcuno creda che Masha sia stata uccisa perché «previsto» dalla religione in cui crede. Naturalmente non è affatto così. Il Corano non prevede in realtà l’obbligo dell’hijab — come invece fa la legge — e lo definisce solo una scelta della donna che vuole essere identificata in quanto credente. Sottolineerei la parola scelta visto che il Testo Sacro dell’Islam paradossalmente evidenzia diverse volte che alla base di tutto ci deve essere la libertà. Il problema è che si parla di una libertà evidentemente riservata agli uomini che non hanno nulla a che fare, purtroppo o per fortuna, con le donne musulmane. Probabilmente questa è stata la causa scatenante nel caso di Masha, come in tanti altri casi: chi possiede libertà, automaticamente possiede tutto; chi non la possiede dipenderà sempre da qualcun altro. Forse questa ragazza non aveva ben chiara la sua posizione, si è autoingannata credendo di poter avere una libertà che non avrebbe mai avuto. Chissà cosa starà pensando vedendo migliaia di persone, donne e non solo, che combattono per lei e per la fine di una dittatura ingiusta. Nonostante vengano uccise a centinaia, questa ribellione sembra non fermarsi mai. Sono state troppo tempo in silenzio ad aspettare probabilmente che qualcuno le salvasse. Ora che hanno scelto di rivendicare il loro posto, non si fermeranno fino a quando non saranno riuscite a ottenerlo e solamente a quel punto potranno dire di conoscere il significato di libertà.


L. Zangani

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