top of page
Writer's pictureDario Gregorini

Passeggeri notturni

Mi trovavo a bordo del solito treno che viaggiava incessantemente tra Milano e Brescia e stavo facendo ritorno nella mia città, dopo una stancante giornata di lavoro. Era una notte serena di estate e mi trovavo assopito su un comodo sedile del primo vagone del treno, in un incessante stato di dormiveglia che mi provocava una confusione immensa.

Ad un tratto, mi accorsi che un uomo misterioso dalla figura slanciata e con dei curiosi baffi rossi sul viso aveva appena varcato la soglia della carrozza e si era seduto di fronte a me. Il suo viso mi pareva piacevole, quasi grazioso, e mi suscitava calma e tranquillità; nonostante ciò, nella sua espressione e nel suo portamento c’era qualcosa di singolare, di unico.

Dopo qualche minuto di silenzio, un rumore assordante si diffuse nella stanza: il signore tirò fuori il telefono dalla tasca dei suoi pantaloni, sfiorò appena lo schermo e iniziò a dialogare pacatamente con qualcuno. Anche se non volevo sembrare troppo indiscreto ascoltando la conversazione (o comunque temevo di sentire il peso della mia coscienza sulle spalle agendo in questo modo), scelsi di prestare attenzione alle parole che uscivano dalla bocca dell’uomo e di ricostruire il filo del dialogo. Il signore pareva tranquillo, quasi soddisfatto, e continuava a ripetere che tutto era andato a buon fine e di non preoccuparsi.

La conversazione proseguì per parecchio tempo e credevo che non sarei riuscito a rimanere sveglio, in quanto percepivo sempre di più il peso del sonno che gravava sulla mia testa come un enorme macigno. Alla fine, il signore dai lunghi baffi concluse sbrigativamente la chiamata e ripose il telefono nella stessa tasca in cui l’oggetto si trovava all’inizio del viaggio. In quel momento il desiderio di dormire svanì completamente e cominciai a nutrire interesse verso quell’uomo singolare, così tanto da volermi rivolgere a lui e da porgli alcune domande per svelare il mistero che celava (e che disturbava il mio sonno). Così, tutto a un tratto, presi coraggio, mi schiarii la voce e chiesi: «Salve, qual è il suo nome?» Egli prontamente mi disse che si chiamava Vittorio e mi pose la stessa domanda. Il suo tono di voce mentre dialogava con me era sicuro e quieto, pareva che ci conoscessimo da una vita; per di più, il modo in cui si atteggiava lasciava trasparire una tale eleganza che rendeva ovvie, o quantomeno intuibili, le sue nobili origini.

Proseguimmo a parlare per svariati minuti. Attraverso la nostra conversazione venni a sapere che egli era un ricco uomo d’affari proveniente da una nobile famiglia milanese, trasferitasi a Brescia ormai da parecchi anni. Malgrado apprezzassi il modo in cui parlava, non potei fare a meno di notare che c’era qualcosa che lo turbava; così, temendo di poter essere io il motivo di tale angoscia, gli chiesi discretamente se ci fosse qualcosa che lo infastidisse. Egli sospirò, accavallò le gambe e cominciò a parlare: «Sa, signore, è stata una giornata molto impegnativa.» Fece una lunga pausa, al punto che temevo avesse perso la forza di proseguire il discorso. Invece riprese: «Oggi ho trascorso la giornata con un mio carissimo amico di Milano che ha avuto una disputa con un commerciante di opere d’arte particolari: vede, lui è un grande appassionato di oggetti apparentemente piccoli e insignificanti, ma di grande valore. Ma d’altronde si sa, gli affari sono affari!»

Annuii con la testa, fingendo di aver compreso a pieno il significato delle sue parole. «Ecco, la ragione per cui sono frustrato», disse l’uomo, «è che durante l’intero arco della giornata il mio amico non ha fatto altro che lamentarsi e ora, dopo tutti i suoi discorsi insensati, è come se mi avesse trasferito un enorme peso sulla coscienza.» Ancora più confuso, pensai di porgli altre domande, ma la stanchezza ebbe di nuovo il sopravvento e mi risolsi a chinare il capo e a socchiudere lentamente gli occhi per far intendere all’uomo che non desideravo continuare la conversazione.

Appena li riaprii, mi accorsi che nel tessuto dei pantaloni del signore misterioso erano rimasti intrappolati alcuni filamenti di un vivace rosso porpora, che, nonostante riprendesse l’insolito colori dei suoi baffi, realizzava uno sgradevole contrasto con l’elegante grigio cenere dell’abito. Estremamente incuriosito, sollevai di fretta la testa e, come se avessi avuto un improvviso riflesso, dissi ad alta voce: «Ha fatto caso di avere dei filamenti di color porpora sul suo abito?» Il signore fece un agile scatto con il capo e ispezionò l’intero vestito, constatando che avevo ragione. «Ah già, credevo fossero spariti ormai! Vede, oggi ho sistemato la residenza di famiglia e riordinando i tappeti persiani sono rimasti intrappolati alcuni filamenti», disse quasi come per giustificarsi. Mi pareva strano che un uomo talmente facoltoso e raffinato avesse sistemato la sua dimora senza delegare il lavoro ai domestici, ma pensai che forse il signore che mi trovavo davanti non corrispondeva allo stereotipo con il quale lo avevo inquadrato.

La conversazione era sostanzialmente terminata, ormai il silenzio dominava la carrozza. Ad un certo punto presi il mio cellulare, lo accesi e cominciai a scorrere tra le notizie della giornata: per pura casualità, mi cadde l’occhio sul Quotidiano di Milano, noto poiché riporta le maggiori notizie di città e provincia. Premetti lievemente sullo schermo e lessi il titolo in prima pagina: «Cadavere di filatelico ritrovato avvolto in un tappeto antico sul fondo dei Navigli».

Immediatamente mi si gelò il sangue e il mio cuore saltò un battito, brividi e tremori percorsero la mia schiena e spalancai gli occhi, da quel momento tutto mi fu chiaro: l’uomo misterioso che mi trovavo davanti era un assassino. Scosso dalla rivelazione, radunai silenziosamente le mie cose, mi alzai in piedi e mi allontanai di buon passo, senza mai voltarmi indietro.


D. Gregorini

145 views0 comments

Commenti


bottom of page