Per chi suona la campana
«Nessun uomo è un’isola» è un’espressione tratta da un’opera del poeta inglese John Donne, ripresa poi da Ernest Hemingway, che la cita in epigrafe al suo romanzo For Whom the Bell Tolls, in italiano Per chi suona la campana. La celebre frase evidenzia il rapporto di interdipendenza dell’umanità nel suo complesso — concetto fondamentale anche nell’attività politica — e la campana a cui Hemingway allude può essere paragonata alla graziosa campanella che è stata protagonista della cerimonia di insediamento del nuovo governo tenutasi il mese scorso. A Palazzo Chigi, sede del governo italiano, il premier uscente, Mario Draghi, ha infatti consegnato al suo successore la campanella utilizzata per dare il via libera alle riunioni del Consiglio dei ministri. Questo evento, che ha assunto il nome di «cerimonia della campanella», simboleggia il passaggio di potere dal precedente governo a quello ora in carica. Nonostante ciò, la cerimonia di quest’anno è stata caratterizzata da una novità assoluta: per la prima volta nella storia della Repubblica italiana la massima carica del governo è stata affidata a una donna, dopo un’ininterrotta successione di ben trenta premier, tutti uomini.
Ora, procedendo con ordine, discuteremo di come nelle scorse settimane è cambiata la composizione delle nostre istituzioni. Il 25 settembre 2022 i cittadini italiani sono stati chiamati a eleggere democraticamente i rappresentanti della diciannovesima legislatura. Si è trattato di un passaggio storico, principalmente poiché il numero di parlamentari che compongono la Camera e il Senato si presenta ridimensionato in seguito a una recente riforma costituzionale che ha ridotto il numero dei deputati da seicento trenta a quattrocento e quello dei senatori eletti dal popolo, sceso a duecento al posto dei trecento quindici stabiliti dalla legge precedente. Questo cambiamento piuttosto drastico comporterà alcune serie conseguenze legate allo svolgimento delle funzioni parlamentari, nonché un consistente risparmio di costi.
Queste elezioni sono state purtroppo caratterizzate da una scarsa affluenza alle urne, considerato che in passato l’Italia era uno dei Paesi europei in cui si votava di più. Si è verificato infatti un calo dell’affluenza di quasi dieci punti percentuali rispetto alle ultime elezioni.
La crescita dell’astensionismo nel nostro Paese è ormai delineata da decenni e determinata dal fatto che, a differenza degli anziani, i giovani, il cui numero è in continua diminuzione, visto il calo demografico, non vedono il voto come un dovere, oltre che un diritto e mostrano un diffuso disinteresse per la politica. Al giorno d’oggi, inoltre, la socializzazione politica non avviene più nelle sezioni e nei circoli come in passato e al momento i social media non sono in grado di sostituire del tutto le attività aggregative una volta svolte dai partiti. Una sfida futura consisterà, infatti, anche nell’affrontare seriamente il tema dell’educazione alla democrazia per arginare il diffuso disinteresse che vi è ai giorni nostri nei confronti della politica.
L’elezione dei rappresentanti del popolo è stata seguita dalla nomina dei presidenti delle due Camere. La prima seduta del Senato è stata presieduta dalla senatrice a vita Liliana Segre in quanto membro più anziano, considerata l’assenza dell’ex presidente della repubblica Giorgio Napolitano. La parlamentare è una superstite della tragedia dell’Olocausto ed è nota per il suo impegno nella lotta contro l’antisemitismo e le discriminazioni: proprio per questo ha pronunciato un discorso ricco di riferimenti ad avvenimenti legati ad alcune sue vicende personali, concentrandosi in particolare sugli effetti delle leggi razziali subiti da lei, in quanto bambina ebrea, e dall’intera popolazione. All’inizio del discorso, la senatrice Segre ha ricordato che proprio nel mese di ottobre cade «il centenario della marcia su Roma, che dette inizio alla dittatura fascista». Considerato il suo passato, la senatrice si è detta particolarmente emozionata del fatto che proprio quest’anno fosse stato affidato a lei il compito di assumere la presidenza del Senato.
Ho considerato poi particolarmente toccante il passaggio del suo discorso in cui ha precisato che ai suoi tempi la scuola iniziava a ottobre e che per lei è stato impossibile non provare una certa emozione al ricordo di lei bambina che in un giorno di ottobre del 1938, sconsolata e smarrita, fu costretta dalle leggi razziali a lasciare vuoto il suo banco delle scuole elementari; pare quasi destino che dopo tanti anni quella stessa bambina ormai cresciuta si sia trovata a pronunciare un discorso sul banco più prestigioso del Parlamento.
Come presidente del Senato è stato poi nominato il senatore Ignazio La Russa, il quale ha ringraziato la signora Segre e tutti quelli che hanno votato per la sua elezione, pur non facendo parte della sua maggioranza di centrodestra.
Il giorno seguente è stato poi eletto il nuovo presidente della Camera, Lorenzo Fontana, sostenuto da tutti i partiti della coalizione di centrodestra. Il parlamentare leghista ha presentato un discorso di insediamento in cui ha persino menzionato il Papa «in quanto riferimento spirituale della maggioranza degli italiani» che «sta svolgendo un’azione diplomatica a favore della pace senza eguali». Ha poi sottolineato che «la ricchezza dell’Italia risiede proprio nella sua diversità» e che «il compito delle Istituzioni italiane è proprio quello di sublimare tali diversità e valorizzarle anche attraverso le autonomie nelle modalità previste e auspicate dalla Costituzione». Fontana ha poi affermato che il ruolo dell’intero Parlamento non può assolutamente prescindere dalla valorizzazione delle diversità e non deve cedere all’omologazione, principale strumento dei totalitarismi.
Nei giorni successivi sono stati adempiuti tutti i passaggi previsti dalla Costituzione con celerità sorprendente rispetto al passato, fino a quando il Presidente della Repubblica ha conferito l’incarico di formare il nuovo governo a Giorgia Meloni, prima donna premier in Italia, la quale aveva già preparato la propria squadra e ha così proposto al Presidente della Repubblica la nomina dei suoi ventiquattro ministri, diciotto uomini e sei donne, che hanno iniziato a lavorare per il paese il 23 ottobre scorso, appena terminata la cerimonia della campanella.
Numerose sono le sfide che dovrà affrontare questo nuovo esecutivo e si spera che riuscirà a instaurare una certa stabilità politica, a differenza di quanto accaduto all’ex primo ministro britannico Liz Truss, dimessa dopo un periodo di governo straordinariamente breve.
La nuova premier italiana, che ha comunicato che firmerà gli atti ufficiali come «Il Presidente del Consiglio», ottenendo anche il consenso dell’Accademia della Crusca, ha infine ottenuto la fiducia dalle due camere dopo aver reso le sue dichiarazioni programmatiche, nelle quali ha presentato le sue intenzioni riguardo ai futuri sviluppi del Paese.
Tra i tanti principi enunciati e le svariate citazioni, Giorgia Meloni ha orgogliosamente rivendicato di aver rotto «il tetto di cristallo» che finora aveva impedito alle donne di assumere la guida del governo. Ha inoltre enfatizzato come questo sia stato reso possibile grazie alla forza, al coraggio e soprattutto all’esempio di tante altre donne di cui ha ricordato i nomi: «da Maria (Montessori) a Grazia (Deledda), da Tina (Anselmi) a Nilde (Iotti) e Rita (Levi Montalcini) da Ilaria (Alpi) a Maria Grazia (Cutuli) ma anche a Fabiola (Gianotti), Marta (Cartabia), Elisabetta (Casellati) e Samantha (Cristoforetti)», figure femminili che hanno lasciato un’impronta assai significativa nella società contemporanea. Nonostante i dubbi e le avversità, il capo del governo si è definito come ciò che per gli anglosassoni corrisponde al concetto di underdog, ossia lo sfavorito che per affermarsi in una competizione deve stravolgere tutti i pronostici poco incoraggianti: quest’impresa è proprio ciò che Giorgia Meloni intende portare a termine.
D. Gregorini
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