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Writer's pictureRedazione di Carliweek

Perché non possiamo stampare più soldi per rendere tutti ricchi

Nonostante l’economia sia una scienza sociale, ormai in attivo sviluppo da 200 anni, una semplice soluzione a cui ignoti geni della finanza giungono spesso è la seguente: “Perché non stampare più moneta e rendere tutti ricchi?”. In fondo, il fenomeno di quantificare la ricchezza in termini monetari è stata un’invenzione dell’uomo e può tranquillamente, allo stesso modo, essere eliminata. Tuttavia, come è facilmente deducibile con un po’ di buon senso, la storia ci insegna che qualcuno, prima di noi, ci aveva già provato. Se oggi non leggete il suo nome nei libri di economia, forse, è per un buon motivo.

L’esempio più recente e più studiato nelle facoltà di economia è quello della Repubblica di Weimar. L’Impero Tedesco del Kaiser esce sconfitto dal primo conflitto mondiale e viene proclamata la Repubblica in Germania. Con il trattato di Versailles, che riportò la pace in Europa, la neonata nazione democratica si ritrovò in una situazione finanziaria disastrosa: essa non possedeva più un tessuto produttivo e le potenze vincitrici imposero un debito di guerra inimmaginabile. In un disperato tentativo di alleviare la situazione, il governo, in stretta collaborazione con la Banca Centrale, decise di stampare ingenti quantità di moneta nella speranza di poter ripagare i debiti contratti e incentivare la crescita. Al contrario delle aspettative, il risultato di questa politica monetaria espansiva non fu certo ricchezza e prosperità.

L’economia tedesca visse infatti uno dei peggiori fenomeni inflazionistici mai documentati nella storia dell’uomo. I prezzi dei prodotti di consumo, anche nei beni di prima necessità come il pane e il latte, crescevano giornalmente di migliaia e migliaia di marchi. La produzione non ripartiva e le persone faticavano a permettersi qualsiasi minimo acquisto. Per mesi la Germania rimase in un costante stadio inflazionistico che si risolse solo tramite complesse operazioni di politica monetaria restrittiva e di rivalutazione. La Germania di Weimar è solo uno dei tanti esempi di fenomeni inflazionistici dovuti ad una sconsiderata creazione di moneta. La politica monetaria è un aspetto delicato della gestione macroeconomica di uno Stato e tutt’oggi è acceso il dibattito su come attuare una efficiente politica monetaria per affrontare le fluttuazioni cicliche dell’economia.


Esistono infatti ancora oggi teorie economiche che supportano le politiche espansionistiche, viste come una via per uscire da qualsiasi crisi alla guisa di un elisir magico, che sono però facilmente smentibili. Tra queste, quella più seguita è sicuramente la Modern Monetary Theory, o MMT, che propone di utilizzare la moneta a corso legale (ovvero quella indipendente da risorse materiali come l’oro e quindi liberamente stampabile dallo Stato) per supportare la crescita dell’economia e anche il proprio debito.

Moltissime sono ovviamente le critiche che sono state avanzate verso questo pensiero dai più diversi fronti, tra i quali è bene ricordare la posizione della Scuola austriaca di economia, che illustra l’incongruenza logica della MMT con una semplice spiegazione. È infatti evidenziato in molti suoi scritti da uno dei suoi più illustri esponenti, Ludwig von Mises, come l’immissione di ingenti quantità di moneta all’interno di un sistema si comporti come l’acqua di uno stagno quando vi viene lanciato dentro un sasso: lo spostamento della moneta di mano in mano, partendo da chi l’ha avuta per primo, porterà a una svalutazione di questa e a un beneficio sempre minore per chi ne viene in possesso, dato che i beni disponibili sul mercato non saranno aumentati proporzionalmente. Così, coloro che prima ricevono la nuova moneta faranno partire il riverbero che si diffonderà presto in tutto lo stagno, giungendo alla fine ad una situazione di equilibrio in cui il valore finale della moneta sarà il medesimo, data la mancanza di un aumento nei beni di consumo e data la capillare distribuzione che la nuova moneta avrà avuto alla fine del ciclo. In questo modo, solo coloro che l’hanno ricevuta per primi subito ne avranno beneficiato e i consumatori si troveranno invece colpiti nel loro potere d’acquisto, riducendo il valore dei propri risparmi e delle loro possibilità di spesa, con un conseguente rallentamento dell’economia dovuto alla riduzione dei consumi stessi.

F. Dalla Bona - R. Zanetti



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