Ti ricordi... Il reality per mezzi bimbi
Oggi parlerò di una serie animata che per me (e spero anche per molti altri) è capitata in un periodo molto particolare della mia vita.
Sto parlando di “A tutto reality”, cartone animato che ricreava le fattezze comuni e stereotipate dei reality show: sfide, prove, sconosciuti che si ritrovano in squadra e, soprattutto, la camera dove ognuno può dire ciò che pensa in totale privacy. Ironico come queste scene all’interno di un cartone fossero innovazione, mentre nei reality veri e propri siano - a parere unanime - una boiata.
La serie trattava sostanzialmente di un gruppo di persone comuni, ognuna ovviamente con i propri interessi, una propria storia e un tratto distintivo, che si ritrova nelle mani di un egocentrico - e a tratti sadico (per il me di qualche anno fa, solo simpatico) - presentatore.
Tutto ciò è ovviamente a scopo di registrare un “reality” show, dividendo i concorrenti in due squadre; alla fine di ogni giornata, sarebbe stato eliminato un concorrente.
L’aspetto più interessante di questa serie è che veniva effettivamente trattato come un reality show vero e proprio, al punto che ogni produttore ha dovuto firmare un trattato di riservatezza affinché non rivelasse il vincitore prima della fine della serie e, addirittura, a fine stagione venivano registrati due episodi che avevano come vincitore uno dei due finalisti. In alcuni Stati, come il Canada o gli
Stati Uniti, l’episodio da trasmettere veniva scelto tramite un sondaggio, mentre altri Paesi sceglievano direttamente. Inutile dire che l’Italia non fece alcun sondaggio (azzeccando il vincitore della prima stagione, ma facendo perdere il mio personaggio preferito nella seconda).
Tolte quindi le curiosità, non intendo parlare di come questa serie abbia influenzato negativamente la mia psiche, trasformandosi in un programma sempre meno intelligentemente demenziale e divenendo sempre più un classico cartone animato, perciò mi riferirò solo alle prime tre stagioni (ho visto anche la quarta, tenetevi i bei ricordi e non fatelo, di martire ne basta uno!).
Appurato quindi che la bellezza è effimera, torniamo a quando ancora tutto andava bene. Il punto su cui preferirei far leva parlando di questo cartone è la sua efficacia: ragioniamoci un attimo.
“A tutto reality” era un cartone che, nel mio caso, era perfetto, anzi lo è ancora (tendo alla malinconia e spesso riguardo i miei vecchi cartoni, o sto incollato alla stessa identica saga da 10 anni). Essendo io un ragazzo di particolare livello e intelletto fin dalla giovane età, potevo comprendere ogni battuta del cartone o, cosa che preferivo, contraddirmi criticando i programmi che guardava mia madre la domenica e appassionandomi ad un programma identico, ma filtrato dall’animazione. Allo stesso tempo ero ancora bisognoso di comicità elementare, come gente che si fa male o gente che si fa molto male.
È una bella serie (serie suona più rispettoso), con un buon equilibrio tra ironia e risata grassa e, quando la guardavo, non avevo ancora il mal di schiena.
P. Ghitti Botti
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