Timido, asociale o semplicemente introverso?
Vi è mai capitato di sentirvi soli anche in mezzo ad una folla intera di persone? Di voler scappare o di estraniarvi da una conversazione, per chiudervi in voi stessi e sprofondare nei vostri pensieri? Oppure vi è mai capitato di preferire una serata in completa solitudine ad un evento sociale? E infine, vi siete mai trovati di fronte ad un vasto gruppo di persone a dover presentare un discorso? Avete provato quella sensazione quasi angosciante? Le mani sudate, il battito accelerato, la bocca secca e l’impressione di svenire? Queste sono situazioni che possono suscitare disagio, imbarazzo o addirittura paura in molte persone, almeno una volta nella vita. Ma cosa succede se le si riscontra quotidianamente? Come capire perché ad alcuni accadono con frequenza, mentre altri riescono soltanto ad immaginare ciò che si prova? In questo articolo cercheremo di fare chiarezza circa la differenza tra essere introversi, timidi e asociali, caratteristiche della personalità che spesso vengono riguardano coloro che riscontrano sensazioni di questo tipo, ma che altrettanto spesso vengono confuse tra di loro, sia da chi le presenta, sia da un occhio esterno.
Essere timidi
Molto brevemente, le persone timide non si sentono a loro agio in determinate situazioni sociali. Spesso la timidezza si manifesta a livello fisico, tramite sudorazione, arrossamento del viso e battito cardiaco accelerato, oppure attraverso comportamenti e segnali verbali, come il balbettare, l’essere maldestri o il puntare il proprio sguardo altrove rispetto al proprio interlocutore. La timidezza porta a sentirsi giudicati per i propri comportamenti e quindi ad evitare certe situazioni che implicano l’esporsi pubblicamente. Questo, però, può anche, per così dire, svanire nel tempo, quando la persona in questione si sente accettata e non più giudicata dal gruppo di persone che frequenta. In alcuni casi, la timidezza può raggiungere un livello patologico, assumendo il nome di «ansia sociale». L’ansia sociale è un vero e proprio disturbo che porta chi ne soffre a non vivere serenamente nemmeno le sue giornate. Ci si sente giudicati in qualsiasi istante e si tende ad aggirare il problema semplicemente non mostrandosi in alcun modo. Questo può certamente creare problemi a livello relazionale ma anche sul piano lavorativo.
Essere introversi
Una persona introversa, a differenza di una timida, non prova “paura” nei confronti delle altre persone, ma semplicemente preferisce trascorrere parte del suo tempo da sola, piuttosto che in presenza di altri. Spesso essere introversi comporta anche essere ricchi di empatia e quindi comprendere con facilità emozioni e stati d’animo altrui. Un introverso, inoltre, tende a preferire princìpi idealistici e ad essere più orientato verso la riflessione, l’introspezione e la fantasia, prediligendo quindi campi più intellettuali e creativi, anche nella scelta di un lavoro. Sul piano affettivo, chi ha una personalità introversa, sarà altamente selettivo circa chi lasciar entrare nella propria vita, ricercando un alto livello di affinità e interessi comuni, creandosi quindi una ristretta cerchia di relazioni. Dal punto di vista delle interazioni sociali, rispetto ad un estroverso, l’introverso spende energia, per così dire, quando si trova in determinati contesti. Più chiaramente: l’introverso inizia la sua giornata con una “batteria sociale” completamente carica. A mano a mano che la giornata prosegue, questa batteria tende a scaricarsi, quando viene “spesa” in interazioni sociali, arrivando a fine giornata completamente scarica e quindi la persona introversa deve ricaricarsi con del tempo unicamente dedicato a sé. Un estroverso, dal canto suo, inizia la giornata con una batteria sociale scarica che caricherà mediante i rapporti sociali.
Sicuramente, però, essere introversi non è sempre facile: si tende spesso ad isolarsi durante conversazioni non sufficientemente stimolanti, oppure a crearsi interi mondi interiori nei quali rifugiarsi durante i momenti in cui la realtà che si vive non soddisfa appieno.
Essere asociali
Spesso viene utilizzato l’aggettivo «asociale» per descrivere qualcuno di restio nei confronti di uscite con gli amici, serate in compagnia e feste, ma cosa significa davvero? L’asocialità è un disturbo che porta chi ne soffre a non avere il desiderio di instaurare rapporti. Nella maggior parte dei casi, questo non rappresenta delle difficoltà, ma una mancanza di motivazione nel relazionarsi. Viene frequentemente ed erroneamente frainteso, assumendo il significato di introversione. L’asocialità può condannare alla solitudine o addirittura sfociare in patologie come la depressione. Spesso questo disturbo porta a criticare se stessi, temendo il giudizio altrui, ma anche, paradossalmente, a giudicare gli altri, vedendone solo i difetti. Se questo viene portato all’estremo, si possono riscontrare i disturbi dello spettro autistico (ASD) e persino disturbi schizoidi della personalità. Questi comportano non solo prediligere la solitudine, ma addirittura non trarre soddisfazione da alcun tipo di attività, dai rapporti intimi e ad essere completamente indifferente verso critiche o lodi altrui.
Le convinzioni più comuni
Nella società odierna si tende a vedere la timidezza quasi come una malattia dalla quale bisogna guarire. Spesso non ci si accorge che questa “cura” non concerne solo esporsi senza paura, imparare a gestire le situazioni con maggiore autocontrollo o cercare di evitare il giudizio negativo personale, ma una persona timida può vedere questa sua caratteristica come uno scudo, una seconda pelle, una parte di sé della quale non riesce o forse nemmeno vuole liberarsi. Questo sicuramente non significa che la timidezza non possa essere sconfitta, tutt’altro. Seguendo determinati consigli ed eventualmente anche rivolgendosi ad uno psicologo, questo ostacolo, se visto come tale, può essere abbattuto.
D’altra parte invece, l’introversione viene vista, in certi casi, come una caratteristica negativa, un volersi estraniare dal mondo addirittura per egoismo, mentre essere estroverso equivale ad essere “connesso”, vivo, ma così non è. A differenza di quello che si crede, una persona introversa ha maggiormente bisogno di stare da sola e di riflettere su se stessa. Infine, l’asocialità, parola della quale molto spesso si abusa, non dovrebbe essere associata a comportamenti prettamente solitari, ma, essendo un vero e proprio disturbo, bisognerebbe trattarlo con la giusta delicatezza, senza sfruttarlo come termine in situazioni non idonee al suo impiego.
E. Miglio
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