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Donne nell’arte: Leonora Carrington

Per Dalí è «la più importante artista surrealista donna»; ma lei cerca per tutta la vita di essere solo un’artista, senza distinzione di genere, o forse molto di più: si definisce una «female-human-animal», evidenziando l’unione profonda tra l’essere umano e l’animale e, in particolare, il cavallo bianco e la iena diventano per lei delle guide spirituali; incarnazioni del suo mondo interiore e istintivo, presentando una visione panpsichista del suo animo inquieto.


Se fossi i miei pensieri, significa che potrei essere qualsiasi cosa, dalla zuppa di pasta, un coccodrillo, un cadavere, un leopardo, o mezzo litro di birra. Se fossi i miei sentimenti, allora sarei amore, odio, irritazione, noia, felicità, orgoglio, umiltà, dolore, piacere. Se fossi il mio corpo, allora sarei il feto di una donna che cambia in ogni momento. Tuttavia, io, come il mondo intero, desidero un'identità individuale.

È il 1970 quando Leonora Carrington scrive queste parole: le sue opere non sono solo mezzo per esaltare l’inconscio e i sogni, ma anche espressione personale legata al suo carattere insofferente verso i vincoli della società. L’eterno conflitto con la figura paterna e la critica nei confronti degli ideali alto borghesi della famiglia, infatti, la spingono presto a ribellarsi: rifiuta da subito l'educazione cattolica imposta dai familiari, si fa espellere da diverse scuole e impone immediatamente la sua volontà di diventare artista. I suoi racconti e dipinti mettono in luce la sua realtà interiore e la sua necessità di opporsi a una società che non la rappresenta, diventando nel corso degli anni sempre più autobiografici.


La sua arte inizia a delinearsi così in un'unione tra arte quattrocentesca italiana ed elementi di alchimia ed esoterismo, tra arte egizia e folklore celtico: sarà l’incontro con il surrealista Max Ernst a completare il suo universo artistico. Nel 1936, appena 19enne, ne vede per la prima volta le opere e ne è da subito attratta: un anno dopo, i due si conoscono durante una festa a Londra e si innamorano. La loro relazione, osteggiata dal padre di Leonora, sconvolge i benpensanti dell’epoca, non solo per la loro grande differenza di età — Ernst ha 46 anni — ma anche a causa del quasi immediato trasferimento a Parigi, dove i due vivono come una coppia sposata. Nel 1938 Saint Martin d’Ardèche, un villaggio a sud della Francia, diventa la nuova dimora di Leonora e Max che vivono il loro amore fatto di arte condivisa, in quella che Leonora definisce la loro «era del paradiso». È qui che dipinge il suo famoso Self Portrait (1938), nel quale si ritrae in tenuta da cavallerizza con capelli folti — simili a una criniera — mentre porge la mano a una iena in compagnia di due cavalli.


Per quanto la critica la consideri un’artista surrealista, Leonora non si sentirà mai completamente parte del movimento. Per lei sarà più importante mantenere una propria indipendenza artistica e uno stile personale: «Anche se le idee dei surrealisti mi attiravano, non mi piace che oggi mi classifichino come surrealista. Preferisco essere femminista». Agli occhi di Leonora, infatti, anche il surrealismo mostrerà presto i suoi limiti: in questo mondo, infatti, le donne non sono altro che strumenti d’ispirazione per l’artista, e il loro ruolo non andrà mai oltre l’essere una musa. A riguardo, Leonora dirà: «Essere una donna surrealista significava, per lo più, preparare la cena per gli uomini surrealisti».

Con l’inizio della Seconda guerra mondiale, la nazionalità tedesca di Max Ernst è considerata una minaccia per le nuove leggi francesi: viene deportato nel campo di concentramento per stranieri di Largentière, e gli amanti sono costretti a separarsi. Leonora, rimasta sola, lascia la Francia per raggiungere Madrid, dove inizia a manifestare i primi segnali di un grave crollo emotivo. La famiglia Carrington decide di farla internare al manicomio di Santander, dove viene giudicata «pazza incurabile»: il destino di Leonora sembra ormai ridotto alle mura di un manicomio ma, durante un trasferimento verso una nuova struttura sanitaria, riesce a fuggire dalla custodia degli infermieri e a rifugiarsi a Lisbona, dove chiede aiuto al diplomatico messicano Renato Leduc, conosciuto a Parigi. Quest’ultimo le offre asilo, per poi sposarla e darle, così, l’immunità diplomatica e la possibilità di viaggiare liberamente. Durante la guerra in Europa, New York diventa il nuovo centro culturale degli artisti esiliati, dove Leonora si trasferisce con il marito e inizia a collaborare con i surrealisti: risale a questo periodo il dipinto Green Tea (1942) che segna il passaggio da una vita dolorosa a una nuova fase più serena in America.



Nel 1943 si trasferisce nella terra che diventerà per lei fonte inesauribile di ispirazione, nonché sua nuova patria per oltre sessant’anni: il Messico. È proprio qui che Leonora raggiunge la sua maturità artistica, dedicandosi alla realizzazione di quadri, sculture, arazzi, litografie, ma anche scenografie e costumi teatrali. L’incontro con il fotografo ungherese Chiki Weisz rappresenta un'altra svolta nella vita di Leonora: diventato suo marito a seguito del divorzio da Leduc, ha da lui due figli, Gabriel e Pablo, e l'esperienza della maternità è per lei d’ispirazione per due opere piene di luce ed entusiasmo, Amor che move il sole et l’altre stelle (1946) — omaggio al Paradiso di Dante — e The Giantess (1947-1950).



Il Messico la vede attiva non solo nell'arte, ma anche nelle cause del movimento femminista: realizza Mujeres conciencia (1972) con lo scopo di promuovere l’indipendenza femminile, e partecipa alla mostra collettiva femminile La mujer como creadora y tema del arte («La donna come creatrice e soggetto d'arte») al Museo d’arte moderna di Città del Messico, accanto a opere di Frida Kahlo e della cara amica Remedios Varo. Nel 2000 lo Stato messicano le consegna il titolo di «mujer distinguida», elogiando la sua personalità di spicco nella comunità messicana. Con il suo gusto per la provocazione e con tono profetico, alla domanda se ci sia un momento storico che apprezzi in particolare, risponde: «Quasi nessuno, o forse sì. C’è un momento storico che mi piace. Per esempio, la Caduta del Patriarcato che accadrà nel XXI secolo».



S. Tortora (3ª B)


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