Epidemia: riflessioni tra passato e presente
Epidemia: manifestazione collettiva d’una malattia (colera, influenza ecc.), che rapidamente si diffonde fino a colpire un gran numero di persone in un territorio più o meno vasto in dipendenza da vari fattori; si sviluppa con andamento variabile e si estingue dopo una durata anch'essa variabile.
Pandemia: epidemia con tendenza a diffondersi ovunque, cioè a invadere rapidamente vastissimi territori e continenti. La pandemia può dirsi realizzata soltanto in presenza di queste tre condizioni: un organismo altamente virulento, mancanza di immunizzazione specifica nell’uomo e possibilità di trasmissione da uomo a uomo.
Questa semplice differenza evidenzia come gran parte degli episodi legati alle malattia registrati nella storia dell’uomo fossero - sostanzialmente - epidemie.
Se infatti analizziamo ciò che colpì Atene intorno al 430 a.C. e le successive epidemie di peste bubbonica - come a Venezia nel 1400, Londra nel 1655, la peste descritta da Manzoni nei Promessi Sposi o la famosa peste descritta da Camus - notiamo come queste malattie colpissero aree ristrette e fossero essenzialmente dovute a patogeni di tipo batterico.
È da notare come molte di queste epidemie abbiano interessato luoghi di interscambio commerciale, soprattutto per via navale, si pensi a Venezia o Londra.
Non a caso, infatti, i primi a capire come contenere la malattia infettiva sono stati proprio i veneziani, che hanno avuto l’idea di adibire due isole della laguna come aree di isolamento degli infetti. ancora oggi note come “lazzaretto vecchio” e “lazzaretto nuovo”. Fondamentalmente, fino all’era antibiotica e al miglioramento delle qualità igieniche, l’isolamento appariva come l’unico modo per limitare la diffusione dell’epidemia.
Inoltre, due esempi esplicativi si possono ritrovare nella Milano manzoniana e tra le pagine di La Peste di Camus: se nel primo troviamo dati quantitativi, nel secondo è presente un’analisi psicologica interessante. Queste insieme, senza dubbio, ci forniscono un quadro generale del tempo e la sua importanza.
Si pensi che il lazzaretto creato a Milano durante l’epidemia di peste ridusse la popolazione da 250.000 a poco più di 60.000 abitanti, ma per analizzare la filosofia clinica attribuibile a quei tempi è necessario riprendere le parole di Camus: strazianti sono le pagine che descrivono l’impossibilità dei parenti di vedere e di dare l’ultimo saluto ai loro cari. Tali immagini creano un vivido legame con lo straziante episodio descritto da Manzoni di Cecilia e sua madre, in cui la donna, simile ad una struggente pietà, porta in braccio il corpo esanime della figlia. Personalmente, un ricordo recente mi sovviene: i camion che, qualche mese fa, mostravano innumerevoli corpi allontanarsi da Bergamo per essere cremati altrove.
Insomma, se un tempo le uniche metodologie di limitazione delle epidemie erano l’isolamento e l’attesa che queste si esaurissero, oggi quel tempo non ci pare più così distante: anche nel 2020 tanti di noi hanno perso i loro cari, senza poter stringere loro le mani.
Le scoperte scientifiche in campo medico con terapie efficaci per le forme batteriche e il miglioramento della qualità di vita delle popolazioni hanno ridotto le epidemie di peste in piccoli focolai di scarsissima rilevanza.
Nel campo di altre malattie di facile trasmissibilità epidemica ha svolto un ruolo fondamentale la scoperta dei vaccini. La nostra situazione di oggi ci riporta indietro: ci troviamo di fronte a un fatto pandemico di origine virale dovuto ad un coronavirus mutato (aspetto tipico dei virus a RNA).
Un elemento tuttavia accomuna questa pandemia alle epidemie del passato: il senso di insicurezza, il timore del contagio, la perdita di fiducia nelle capacità scientifiche o religiose.
Novità odierna? Non del tutto, se ricordiamo come Tucidide - descrivendo la peste ad Atene del 430 a.C.- parlasse di paura della legge, poiché tutti si sentivano già “condannati a morte”; di soldi spesi inutilmente, sapendo di non poter vivere abbastanza per godere di un investimento; di come il rispetto della sacralità e le sepolture fossero passate in secondo piano. Tucidide mette in luce, insomma, come la società stessa si soggiogò alla frenesia e alla noncuranza, sentendosi ormai condannata.
Il ritratto proposto da Tucidide non è dei migliori ma, per fortuna, la situazione odierna presenta delle diversità, se pensiamo a come viene descritta dai media, al clima che respiriamo (seppur filtrato da una mascherina), a ciò che possiamo vedere dalle nostre piccole realtà. Il rallentarsi dei ritmi, in parte imposto dal lockdown, si scontra poi con l’incessante martellare dei mezzi di informazione, che raccontano, in modo spesso contraddittorio, la vicenda, alimentando così angoscia, preoccupazione e attesa. Vediamo anche come, rispetto alle epidemie del passato, i nostri metodi non siano necessariamente all’avanguardia: siamo rimasti alle mascherine, al divieto di assembramento e all’igiene, ma è molto interessante far notare che questa è la prima pandemia dove non solo gli ammalati, ma anche i sani sono isolati, differenziando quello che è un isolamento obbligatorio nel post malattia da un isolamento fiduciario preventivo alla malattia.
La prima ondata del COVID-19 ha colto completamente impreparato il sistema sanitario mondiale. Ciò ha permesso di mettere a punto strategie cliniche, anche innovative, che nella seconda fase stanno contenendo fortemente il ricorso alle terapie intensive e riducono la mortalità. Mai il mondo scientifico ha esercitato tramite capitale pubblico e privato uno sforzo di ricerca così immane.
Dopo questa riflessione, avendo evidenziato le differenze comportamentali e di risposta clinica, ci tengo particolarmente a evidenziare una chiara conseguenza, anche benefica, di questo approccio.
Siamo, in molti aspetti, la prima realtà storica in cui una pandemia è stata affrontata in tal maniera, eppure, sebbene io abbia parlato di come la vita si sia fermata, perché vediamo comunque commerci che fioriscono, innovazioni e socializzazioni? Perché non solo viviamo la prima pandemia in cui l’intera popolazione è stata rinchiusa, ma siamo anche la prima società che, di fronte ad una situazione del genere, ha avuto modo e mezzi per fermarsi e, quindi riflettere. Oltre che al contesto prettamente medico, mi riferisco maggiormente all’ambiente imprenditoriale e individuale: è indubbio come infatti ogni business si sia adattato, portando anche innovazioni, come l’esigenza, il concetto di crisi ci abbia portato ad un’evoluzione in determinati ambiti. Ci siamo tutti adattati, chi estrapolando il meglio dai mezzi telematici; chi, ormai “costretto” alla tecnologia, ha preso confidenza con programmi di ogni tipo; chi, con bisogno di risposta, ha agito, attrezzando la propria attività all’odierno “stile di vita” pandemico.
Ad esempio l’implementazione dello smart working e dello smart learning (con profondo risentimento da parte dell’accademia della Crusca per l’uso di termini anglofoni) hanno portato un’enorme rivoluzione. Abbiamo vissuto un episodio di portata storica e, comparato ai precedenti, nonostante i danni riportati, possiamo vantare il grande spirito d’iniziativa presentato dalla comunità: davanti ad una situazione di stallo economico e sociale, i cittadini di tutto il mondo hanno reagito e portato un gran progresso nell’ambito lavorativo.
P. Ghitti Botti
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