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Fusione nucleare: la prossima meta energetica

Il 9 febbraio scorso, gli scienziati del Joint European Torus (JET), un reattore sperimentale a fusione nucleare situato nei pressi di Oxfordshire, nel Regno Unito, hanno annunciato di essere riusciti a produrre in un periodo di cinque secondi 59 megajoule di energia, battendo di più del doppio il record precedente, stabilito nel 1997. Le testate giornalistiche internazionali hanno ampiamente acclamato il risultato, definendolo, nel caso della BBC, una «notevole svolta nell’energia da fusione nucleare». Se è vero che il successo dell’esperimento costituisce un grande passo avanti per la ricerca sulla fusione nucleare, rimangono dei significanti ostacoli tecnici ed economici che ci impediscono di prevedere la fattibilità commerciale di impianti energetici che la adoperino efficacemente prima di almeno vent’anni. Per capire il grande fermento, però, bisogna comprendere questa rivoluzionaria fonte di energia. Dunque, cos’è la fusione nucleare, perché se ne parla, e quali sono le sfide che deve ancora superare?


Innanzitutto, la fusione nucleare è un fenomeno fisico che avviene spontaneamente in natura, in particolare come parte del processo che mantiene in vita ogni stella. Per illustrarlo, occorre una premessa: le stelle sono oggetti di grande massa, e di conseguenza i loro nuclei sono soggetti a un’intensa forza gravitazionale, la quale determina un’immensa pressione e temperature elevate, che nel caso del Sole toccano i 15 milioni di gradi Celsius. Questi numeri fanno in modo che la materia nel nucleo esista in uno stato di plasma caldo e denso, dominato da particelle elettricamente cariche, ovvero ioni ed elettroni. È in questo ambiente che avviene la fusione nucleare, grazie alla quale la stella può controbilanciare con successo la forza schiacciante della gravità: l’energia è tale che particelle che normalmente si respingono, come singoli protoni, ossia atomi di idrogeno privati degli elettroni, sormontano la repulsione elettrostatica e si uniscono, o fondono, in una reazione nucleare che rilascia nel complesso grandi quantità di energia. Tutto ciò è l’inizio della cosiddetta catena protone-protone, che è prevalente nelle stelle di dimensioni uguali o minori del Sole. Durante la fusione, uno dei due protoni si trasforma in un neutrone, con l'emissione di un positrone la cui annichilazione con un qualsiasi elettrone vicino genera energia. Il nuovo nucleo atomico, formato da un protone e un neutrone, è un diverso isotopo dell’idrogeno, denominato deuterio. Questo si unisce successivamente a un altro protone, da cui deriva ulteriore energia, a formare l’isotopo leggero dell’elio; dalla fusione di due di quest’ultimi, infine, nasce un atomo di elio nel suo isotopo più comune, più due protoni aggiuntivi, che continuano il ciclo. Così il Sole continua a splendere, e lo continuerà a fare per altri 5 miliardi di anni, quando tutto l’idrogeno sarà convertito in elio.


L’obiettivo dei progetti sperimentali come JET è quello di replicare, con le opportune modifiche, questo processo sulla Terra, per produrre grandi quantità di energia rinnovabile, pulita — poiché in sé non inquina né emette gas serra alcuno — e virtualmente illimitata, data la vasta disponibilità dell’idrogeno e il rapporto input-output eccellente. Tuttavia, è subito chiaro il problema centrale: come arrivare alle temperature elevatissime richieste per la fusione nucleare? Ad aggravare la situazione è il fatto che sulla Terra bisogna addirittura sfiorare i 150 milioni di gradi, poiché non sussiste la pressione che si trova all’interno dei nuclei stellari. Nessun materiale nell’universo è in grado di sostenere tali temperature. E allora una soluzione collaudata, che è quella adottata da JET, è quella di “confinare” o sospendere nel vuoto il plasma caldissimo attraverso superconduttori magnetici, i quali devono — quasi ironicamente — essere mantenuti a temperature vicine allo zero assoluto. I reattori che utilizzano questa tecnologia, denominati tokamak, hanno forma toroidale, ovvero a ciambella, che è avvolta da bobine, più un’ulteriore solenoide al centro. Il solenoide induce una corrente elettrica nel plasma, il che a sua volta dà origine a un campo magnetico. Quest’ultimo interagisce con quello circolare generato dalle bobine che avvolgono la ciambella, incanalando il plasma e impedendo che fuoriesca dal tokamak. Il carburante solitamente utilizzato è però diverso da quello del Sole, trattandosi di una miscela di deuterio e trizio, l’isotopo dell’idrogeno con due neutroni. Quest’ultimo è radioattivo e nocivo per gli esseri umani, rendendo difficile la sua gestione, ma soprattutto è raro in natura e molto costoso. Per risolvere questo problema è stato proposto di rivestire l'interno del tokamak con un blanket o uno strato di litio, elemento abbondante in natura come il deuterio. I neutroni generati dalla fusione di deuterio e trizio colliderebbero gli atomi di litio sulle pareti, scindendo questi in elio e in ulteriore trizio, in modo che idealmente il ciclo diventi autosufficiente e la quantità di trizio da fornire inizialmente sia limitata.


Testare il processo appena descritto, noto come tritium breeding («coltivazione di trizio»), è uno dei cinque obiettivi principali — nello specifico il terzo — del progetto di ricerca dell'International Thermonuclear Experimental Reactor (ITER), tuttora in costruzione in Francia meridionale, con le prime sperimentazioni previste nel tardo 2025. Con un costo finale stimato tra i 18 e i 22 miliardi di euro, ITER figura tra gli esperimenti scientifici più costosi e complessi mai tentati. Gli altri quattro obiettivi sono ugualmente significativi. Il primo è produrre 500 megawatt di energia da fusione nucleare su una durata di 400 secondi, a partire da un input iniziale di 50 megawatt; per riferimento, il risultato record di JET si traduce in 11 megawatt. Il secondo è testare l’operazione integrata delle molteplici tecnologie — immissione di carburante, conduttori magnetici, sistemi di raffreddamento, rimozione dei rifiuti — che operano in concerto in un impianto di fusione nucleare. Il terzo obiettivo è simile al quarto, in quanto entrambi sono essenzialmente il raggiungimento dell’autosufficienza della reazione nucleare; in particolare, il terzo è utilizzare i nuclei di elio ad alta energia derivanti dalla fusione di deuterio e trizio per ottenere un burning plasma, nel quale il calore è prodotto internamente, superando la necessità di fonti esterne che lo forniscano. Infine, il quinto obiettivo — forse il più importante per convincere gli scettici — è dimostrare la sicurezza di un impianto a fusione nucleare, ossia il controllo sicuro del plasma e la prevenzione di ripercussioni ambientali. In questo ambito i reattori a fusione nucleare differiscono molto dalle loro controparti a fissione di uranio. Se da un lato quest’ultimi, pur non emettendo gas serra, presentano il rischio di fuoriuscita di materiale radioattivo e producono scorie, il plasma all’interno dei reattori a fusione nucleare, in caso di guasto sistemico, si dissolve senza effetti minimamente catastrofici alla prima disattivazione dei campi magnetici. L’unico problema è il trizio, la cui fuoriuscita, essendo radioattivo, è potenzialmente pericolosa; fortunatamente, le quantità da utilizzare dovrebbero essere limitate, anche grazie alla creazione di trizio direttamente all’interno del reattore.


In conclusione, la fusione nucleare sembra essere la fonte energetica perfetta. Grandi quantitativi di energia generati da piccole dosi di un materiale abbondantemente disponibile in natura, in un processo che non produce scorie radioattive né emette sostanze inquinanti o gas serra, e il cui ipotetico fallimento non ha conseguenze disastrose di alcun tipo. Il punto, ora, è di mettere l’idea in pratica. Bisogna sottolineare che i prototipi come JET e ITER sono strettamente progetti di ricerca scientifica, mirati allo studio della fusione nucleare stessa e non all’inserimento nella rete elettrica. Sono i precursori dei reattori che un domani, si spera, produrranno energia elettrica da fusione affidabilmente, ma soprattutto in modo che i ricavi superino regolarmente i costi. Nell’esperimento del 1997, JET spese 24 megawatt di energia per produrne 16, con una perdita di 8. Ora tocca a ITER provare a ribaltare la situazione.


S. Gallina


Bibliografia

J. Amos, Major breakthrough on nuclear fusion energy, in BBC News, 9 febbraio 2022, www.bbc.com/news/science-environment-60312633.

What will ITER do?, su ITER, s.d., www.iter.org/sci/Goals.

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