Sul valore della metafisica
L’anno nuovo si avvicina, e con esso la voglia di cambiamento e lo spirito di rinascita che ispira i rituali buoni propositi in ognuno di noi. Questo periodo invita anche alla riflessione, non solo sull’anno che volge a concludersi, ma sulla nostra condizione attuale, sul significato della vita e il nostro ruolo nella società. Per un appassionato di scienza come me, tuttavia, la riflessione si estende ben oltre a ciò e va a toccare temi profondi, primari, di natura esistenziale. È quindi tale clima particolare che mi porta a condividere con voi lettori, in questo articolo, una prospettiva più intima, più filosofica se si desidera, sulle imprese intellettuali dell’uomo di cui tratto in tempi normali.
Io parlo spesso di fisica, di tecnologia, di avanguardie. La natura divulgativa dei miei articoli non mi permette ovviamente di entrare nei dettagli tecnici per ciascuna questione. Tuttavia è bene tenere sempre a mente che quando menziono di sfuggita che «i calcoli mostrano», «è stato dimostrato», «le previsioni dicono», quel che sto facendo è sorvolare su pagine e pagine di nient’altro che pura matematica. La matematica è il caposaldo della nostra analisi dell’universo, le fondamenta su cui si regge la grande casa del sapere. È chiaro che una qualsiasi considerazione di carattere «meta», di ordine superiore, relativa a una scienza sperimentale ricadrà in ultima istanza sulla matematica che sottintende. Quando poniamo ai fisici quantistici, o agli studiosi del cervello, o ancora ai cosmologi la consueta domanda «Che cosa vuol dire tutto questo?», noi stiamo chiedendo loro uno sforzo non da poco, quello di interpretare come numeri e dimostrazioni si colleghino a ciò che veramente esiste, vediamo e proviamo.
Noi siamo educati fin da piccoli a pensare alla matematica come lo studio dei numeri e delle figure. Non è solo ciò, affatto. Si può dire che la matematica è logica applicata, un sistema formale in cui un insieme di assiomi — verità presunte tali — e rigide regole dettano ciò che si può e non si può fare. Perché in fondo si tratta di una rete di verità, di proposizioni che derivano necessariamente da altre, le quali seguono da altre ancora, attraverso i dettami logici da cui sono governate. Il vero è il necessario, il necessario è il vero: e tutto si rifà a tutto il resto. Ma la matematica, sulla superficie così inamovibile e autosufficiente, soffre di gravi debolezze, che si rivelano nel momento in cui si tenta di analizzarla come un sistema formale. Grazie a menti brillanti come Bertrand Russell, David Hilbert, Kurt Gödel e Alan Turing, è stato possibile portare alla luce tre cruciali difetti insiti nella disciplina più essenziale di tutte. Innanzitutto la matematica è incompleta: ci saranno sempre affermazioni vere, ma la cui verità è impossibile da dimostrare. È anche incoerente: la matematica non può dimostrare la propria coerenza interna. È infine indecidibile: non esiste un metodo sistematico per verificare che ogni proposizione proceda logicamente dagli assiomi.
Il lettore perspicace avrà identificato il filo comune tra le tre lacune della matematica. Si tratta di paradossi che nascono dall’autoreferenza, dalle applicazioni delle regole logiche sulle regole logiche stesse. Ecco quindi che torna il tema del «meta» che ho già introdotto, che ci costringe a rivisitare i nostri presupposti sulla realtà. La matematica è sì uno strumento potente, ma come può fondare la nostra analisi dell’universo se è così problematico? Allo stesso tempo le alternative scarseggiano, anzi. I tre difetti che ho citato valgono per qualsiasi sistema formale che si crei. È proprio così, che l’essenza della realtà è intrinsecamente contraddittoria, o stiamo commettendo un notevole errore di giudizio? Forse è meglio mettere in discussione lo status ontologico della matematica. Lapalissiano è che esista; il punto è dove collocarla. Se accettiamo che è tutto un costrutto della mente — l’unico modo a sua disposizione per interpretare il mondo — questa rete di verità diventa qualcosa di contenuto in se stesso, perdendo irrevocabilmente il gancio che l’ancorava alla realtà. Diviene una mera rappresentazione, non più essenza; i numeri, le proposizioni, i teoremi, le proprietà, tutto ciò che crediamo di conoscere cessa di esistere in natura.
Una prospettiva poco confortante, certo. Se crolla il mito della matematica, la caccia umana per la verità si scopre inutile, immutabilmente vana, un esercizio intellettuale il cui obiettivo rimarrà sempre al di là delle nostre facoltà. Non per questo dobbiamo smettere di fare matematica, di fare scienza. Per progredire come specie è assolutamente necessario continuare a esplorare, a studiare gli effetti e a indagare le cause. Potremo solo sperare in un perfezionamento graduale, ma comunque chimerico, asintotico — l’ironia di usare un termine matematico — della nostra visione dell’universo. C’è però un colpo di scena finale. Ecco che, nell’ultimo atto, rientra sul palco la metafisica, l’antica disciplina filosofica dedita alla ricerca dei principi portanti della realtà. Senza più un ponte che connette la terraferma dell’universo all’isola della nostra mente, si indebolisce la posizione secondo cui «La metafisica è morta!», soppiantata interamente dalla scienza sperimentale, l’unica in grado di spiegare tutti i fenomeni in maniera razionale e verificabile. La scienza ha delle limitazioni inestirpabili che non la renderanno mai in grado di coincidere con la realtà stessa. L’aveva già capito Zenone di Elea duemila anni fa, coi suoi paradossi sul movimento che palesano il divario tra la realtà e la nostra rappresentazione di essa. La metafisica è ancora viva e forte del suo valore, un valore che non potrà mai perdere.
S. Gallina
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