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Vinti che furono e vinti che sono

Aristotele scrisse che lo scopo dell’arte è rappresentare l’aspetto interiore delle cose. Proprio per questo è così facile trovare analogie e collegamenti tra le diverse discipline artistiche che, con tecniche diverse, spesso provano a spiegare la medesima realtà. Così accade che tematiche che ci sembrano distanti se lette nelle opere studiate a scuola vivano ogni giorno sotto altre forme, ad esempio nella musica. Quando si tratta di realtà̀ sociale, la letteratura non può fare a meno di menzionare i «vinti»: allora perché non analizzare la tematica dei «vinti» anche nella musica che ascoltiamo quotidianamente?


Innanzitutto, il nome «vinti» viene scelto da Giovanni Verga che, con le tecniche veriste, volle dare dignità letteraria a realtà nelle quali i protagonisti finivano sempre col diventare vittime dell’onda del progresso: la celebre «Fiumana». Sia da I Malavoglia che da Mastro-don Gesualdo, ambientati nello scenario popolare della Sicilia ottocentesca, si evincono significati universali e pessimisti: l’impossibilità di poter cambiare la propria condizione sociale e la freddezza di un sistema che lascia inevitabilmente indietro i più deboli. L’onda della fiumana travolge tutti, e ci si può mettere in salvo solo se si è in grado di sopravvivere al cambiamento.


È la stessa problematica affrontata nella canzone The Times They Are-A-Changin’ di Bob Dylan. Nella prima strofa, in modo analogo a Verga, il cantautore avverte le persone che il tempo passa e bisogna adattarsi per non annegare affondando come pietre «…you’ll sink like a stone…»; il progresso rischia di soffocare la gente e trasforma irreparabilmente la realtà, proprio come succede alla classe aristocratica in Mastro-don Gesualdo, divenuta vuota e priva di potere. Come ricorda Bob Dylan nella canzone, il tempo rende i primi di oggi gli ultimi di domani.


La “voce dei vinti” del cantautorato italiano è senza dubbio quella di Fabrizio de Andrè. Anche Faber, infatti, decide di cantare le gesta delle vittime e degli sfortunati, ambientandole sempre in uno scenario popolare ma, a differenza di Verga, esaltandone l’umanità e la genuinità. Le analogie tra le opere del cantautore ligure e quelle dello scrittore a ogni modo non mancano: in entrambi viene data rilevanza al “giudizio sociale” e la sensazione di essere giudicati diventa a volte un motivo costante, così in Bocca di rosa, come in Mastro-don Gesualdo e ne I Malavoglia. Verghiana è anche la tematica dell’amore, che nelle canzoni di Faber si trasforma in un’ossessione che finisce per generare, o indurre, violenza. Porto come esempio la celebre Ballata dell’amore cieco, dove l’incantesimo amoroso è analogo a quello di Storia di una capinera e della novella La lupa.


Si può però scavare ancora più a fondo nel concetto di «vinti», trovando collegamenti ancora più vicini a noi. Se da una parte, l’interesse verso questa forma di antieroe “sopraffatto” dalla vita è relativamente recente, dall’altra in realtà si possono rintracciare delle sorti di precursori già in opere antiche. Per esempio, nell’Eneide, dove numerosi sono i malcapitati vinti dalle ingiustizie del fatum, prima tra tutti Didone. Sicuramente però, la trasformazione dei paesi in borghi e l’avvento dell’industrializzazione ha aggiunto nuove sfumature al tema, rendendolo fonte di approfondimento in numerose opere letterarie. I vinti non sono più vittime della Provvidenza, ma della società. L’anello di congiunzione sono I Promessi sposi, nella quale è presente una doppia visione: gli umili, Renzo e Lucia, sono vittime indiscusse della Divina Provvidenza, che però nel concreto si serve della prepotenza di Don Rodrigo, dell’avidità del Griso, della codardia di Don Abbondio.


Nel corso dell’Ottocento la fede religiosa si sgretolerà sempre più, soprattutto tra gli intellettuali: dalle ceneri della filosofia hegeliana, che sul concetto della manifestazione di Dio aveva trovato il proprio fondamento, nasce la filosofia di Marx, che vede invece la religione come una distrazione illusoria, un gioco di prestigio dei potenti. I proletari sono i nuovi vinti, vittime della cupidigia della borghesia: disegno ben rappresentato, seppur in maniera quasi “stilizzata”, da numerose opere di Charles Dickens. Gli operai, gli orfani e i senzatetto sono vittime dell’industrializzazione e del progresso, posti ai margini della società e relegati nelle strade. Proprio qui i vinti sono rimasti, tuttora, a distanza di due secoli, e per scovarne le tracce nelle opere attuali bisogna quindi avvicinarsi a questo mondo.

Verso gli anni settanta negli USA nasce tra i tanti il movimento hip hop, legato alla vita di strada, e si diffonderà a poco a poco l’ormai noto genere rap, che vedrà̀ la sua esplosione negli anni novanta e, qualche anno più tardi, sbarcherà anche in Italia. Sia il contesto che ne ha portato alla diffusione che le caratteristiche tecniche, come i lunghi testi organizzati in rime e assonanze, hanno reso il rap il genere che forse più si presta alla denuncia e all’analisi sociale oggi giorno. Inoltre, per la prima volta sono i vinti stessi a raccontarsi: non c’è più̀ bisogno di dare coscienza sociale alle vittime della società, come si prefiggeva il marxismo, perché́ queste dimostrano di essere già consapevoli della loro situazione e, nonostante questo, non essere in grado di uscirne. Per esempio questo concetto si discosta da Dickens, i cui lettori erano le classi abbienti.


Le morali di queste “canzoni di strada” spesso si accostano, il più delle volte allineandosi ma in alcuni casi prendendo le distanze, all’interpretazione di Verga: in Come uccidere un usignolo, il rapper Ernia usa la metafora dell’usignolo e del cacciatore per spiegare il meccanismo con cui vengono tarpate le ali agli artisti emergenti a causa della cattiveria degli uomini, impedendo loro quindi di uscire dalla difficile situazione sociale in cui si trovano; in quasi tutte le canzoni del cantante più ascoltato in Italia dell’ultimo decennio, Sferaebbasta, è presente invece il messaggio di rivalsa dell’artista, che è riuscito a scappare dalla strada diventando una celebrità̀, a discapito della morale verghiana; in Vita sbagliata il rapper Paky spiega la propria condizione come una condanna che si ha dalla nascita, come per i Malavoglia, e che la vita va purtroppo accettata con la sua «doppia faccia»; nel secondo album del rapper Tedua chiamato Mowgli, citazione alla famosa opera di Kipling, la città viene dipinta come una giungla, un ecosistema incivile nel quale vige la legge del più forte e dal quale a volte si sopravvive e altre volte, invece, no.


In conclusione, il concetto dei «vinti» ha attraversato i secoli e le discipline artistiche, diventando un tema universale che riflette la condizione umana di coloro che, purtroppo, subiscono le ingiustizie del destino o della società. Sono tante le opere letterarie e musicali che raccontano le storie dei «vinti», invitandoci a riflettere sulla fragilità dell'uomo di fronte alle forze che lo circondano. Il motivo per cui è così facile ritrovarli forse è proprio perché sono il punto di partenza dal quale poter capire la società e l’esistenza umana: sicuramente molti preferiranno ascoltare le gesta degli eroi, ma nella realtà il loro impatto è esiguo rispetto a quello di otto miliardi di vinti.


A. Motisi


Un affettuoso ringraziamento ad Antonio Motisi, ex studente del liceo, che ha omaggiato Carliweek di un suo articolo.

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